#WeeklyUpdates |Che fine fanno i “cyberbulli”?
Quando parliamo di Cyberbullismo facciamo riferimento ad un particolare fenomeno, in crescente aumento nell’ambito dei rapporti sociali fra adolescenti, che possiamo ben definire anti-sociale e soprattutto anti-giuridico, che ha assunto dimensioni sempre più preoccupanti.
Troppo spesso, negli ultimi anni, i fatti di cronaca giornaliera ci raccontano scenari di vita che si consumano nell’intimità violata di persone più fragili e giovani, denotati da forti disturbi psicologici.
Il proliferarsi di tutta una serie di comportamenti violenti e persecutori sempre più in crescente espansione, a danno di minori d’età, perpetrati con l’utilizzo della moderna tecnologia e le tragiche ed estreme conseguenze che ne sono derivate, hanno reso evidente e necessario, nel nostro ordinamento, l’intervento del nostro legislatore per ovviare a tali difficoltà.
Difatti, la legge n. 71 del 29 maggio 2017 ha finalmente inteso approntare una specifica disciplina sulla tematica de qua, fornendo un’adeguata tutela per chi risulta essere vittima di atti di cyberbullismo.
La citata legge, all’art. 1 co. 2 ci fornisce una chiare e precisa definizione dello concetto di cyberbullismo inteso come “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”.
La tutela che si intende apprestare per la lotta al fenomeno si articola a livelli diversi; in primo luogo, il minore ultraquattordicenne, che asserisce di aver subito una lesione della propria dignità da determinati comportamenti posti in essere da un suo coetaneo, può intervenire direttamente chiedendo, ai gestori di siti internet e social media, l’eliminazione dei contenuti a lui poco graditi.
La cancellazione deve avvenire entro le 48 ore successive, e in caso contrario ci si potrà rivolgere al Garante per la protezione dei dati personali che procederà alla rimozione richiesta, sempre entro le successive 48 ore.
In ultima istanza, la vittima può rivolgersi al Questore per chiedere un ammonimento, a meno che non sia stata presentata già una denuncia per gli stessi fatti.
Ma cosa è consigliabile fare nel caso in cui i comportamenti posti in essere dal “cyberbullo” siano molto più gravi rispetto all’aver condiviso la foto personale di altri e tali da assumere rilevanza penale?
Ci riferiamo ai casi in cui, la condotta posta in essere dall’agente – nella maggior parte dei casi sempre minorenne – arrivi ad integrare diverse fattispecie di reato, quali ad esempio: il reato di diffamazione (art 595 c.p.), il reato di minacce (art. 612 c.p.), il c.d. stalkingovvero il reato di atti persecutori di cui all’art. 612-bisc.p., il reato di molestia o disturbo alle persone (art. 660 c.p.), ad arrivare finanche ai reati di pornografia minorile e detenzione di materiale pornografico previsti, rispettivamente, agli artt. 600- tere 600-quaterc.p..
Ad oggi, in realtà, contro gli atti di cyberbullismo non esiste una responsabilità penale specifica, ma il soggetto che pone in essere tali comportamenti risponde penalmente soltanto delle fattispecie di reato che emergono dalle condotte realizzate.
Ad ogni modo, occore prima di tutto valutare, caso per caso, se la situazione prospettata da una presunta vittima rientri nell’alveo del cyberbullismo ovvero trattasi di simili comportamenti violenti ed anti-sociali.
Ed invero, oltre al contesto tipico in cui si verificano principalmente gli episodi (scuola e/o ambienti similari) sono da evidenziare altri due elementi utili al fine di delineare una differenza: le modalità in cui vengono consumate le azioni delittuose e l’età dei soggetti attivi e passivi.
Ed infatti, si può parlare di cyberbullismo quando vengono utilizzati gli strumenti offerti dalla moderna tecnologia (telefoni cellulari, computer ed altro) e le diverse modalità di comunicazione (chat, messaggeria istantanea e social media)e quando tutti i soggetti coinvolti sono minorenni.
Altro aspetto poi fondamentale riguarda anche lo stato di salute psichica della vittima di bullismo digitale, che, ricordiamo, non subisce vessazioni e umiliazionivis a vis, ma a distanza, su una piattaforma digitale a cui tutti possono accedere, generando stati di disagio, bassa autostima, comportamenti depressivi ed altro che nel breve-medio termine possono essere facilmente eliminati in caso di pronto intervento, ma che possono portare a conseguenze estreme ed anche fatali se subìti per diverso e lungo tempo.
Le osservazioni sinora svolte, seppur in maniera superficiale, si rendono necessarie perché, nel caso in cui un minore di età, vittima di comportamenti integranti specifiche fattispecie di reato, intenda denunciare il suo carnefice, anch’egli minorenne, le conseguenze cui andrebbe incontro quest’ultimo, vista la giovane età, non sarebbero certo leggere.
Come è noto, il procedimento penale viene incardinato soltanto nei confronti di un soggetto maggiorenne e quindi capace di intendere e di volere secondo la disciplina prevista dal nostro codice penale, salvo poi diverse eccezioni.
Tuttavia, se l’art 97 c.p. prescrive la presunzione assoluta di incapacità di intendere e di volere per il minore di quattordici anni, il successivo art. 98 c.p., stabilisce, invece, l’imputabilità del soggetto che, nel momento in cui ha commesso il fatto ha già compiuto i quattordici anni ma non ancora i diciotto e se ha capacità di intendere e volere (valutazione quest’ultima che va affidata al giudice competente, che decide caso per caso).
In ordine ai casi di cyberbullismo l’elemento “età” riveste quindi un ruolo fondamentale nella valutazione della “presunta” responsabilità penale del minorenne.
Infatti, in un caso, i comportamenti delittuosi posti in essere dal minore di anni quattordici non sono perseguibili penalmente, anche se possono essere ritenuti socialmente pericolosi. Competente in questi casi è il Tribunale per i Minorenni che può predisporre un percorso rieducativo del minore responsabile, prevedendo anche l’applicazione di alcune misure di sicurezza.
Nel caso in cui, invece, il soggetto agente si trovi in un’età compresa tra i quattordici e i diciassette anni può esser ritenuto penalmente responsabile per il reato o i reati integrati dal compimento delle sue azioni, previo accertamento della relativa capacità di intendere e di volere da parte del giudice competente.
In conclusione, in tutti i casi in cui si verificano episodi gravi di bullismo virtuale, integranti specifiche figure di reato, è sempre opportuno, per la vittima minore, rivolgersi ad un avvocato penalista, specializzato in materia, per poter ottenere una adeguata protezione rispetto alle condotte subite da uno o più coetanei, potendo ovviamente far affidamento agli organi delle Forze dell’ordine per inoltrare segnalazioni o sporgere denuncia-querela e quant’altro secondo le loro competenze.
Avv. Manuela Stumpo