#WeeklyUpdates | I criteri di imputazione degli imponibili contributivi: criterio di cassa o di competenza?
Nell’ambito previdenziale è previsto, ex lege, l’obbligo del versamento dei contributi previdenziali; ciò è consequenziale all’obbligo assicurativo che sorge in capo al datore di lavoro nei confronti del soggetto lavoratore. L’ente previdenziale addetto a riscuotere tali contributi assicura, infatti, il lavoratore contro eventi che possano renderlo non idoneo alla prestazione lavorativa. La contribuzione previdenziale consiste, quindi, in un mero “premio assicurativo” per il lavoratore nel caso in cui subisca un determinato evento come la malattia, la maternità, la disoccupazione o la pensione.
Occorre esporre qualche informazione ulteriore sulla materia.
Il nostro ordinamento prevede 5 tipi di contributi previdenziali:
- obbligatori;
- figurativi;
- volontari;
- da riscatto;
- da ricongiunzione.
Per contributi obbligatori s’intendono quei contributi che vanno versati per l’intera durata dell’attività di lavoro. L’onere del versamento varia a seconda della tipologia di lavoro: in caso di lavoro dipendente, esso è a carico in parte del lavoratore e in parte del datore di lavoro.
I lavoratori autonomi e i liberi professionisti, al contrario, versano interamente di tasca propria i loro contributi.
Altra tipologia di contributi sono quelli figurativi, ovvero quelli che vengono pagati direttamente dall’ente di previdenza, a fronte di specifici casi ove nessuna delle parti costituenti un rapporto di lavoro possa versare. I suddetti casi sono: la malattia o i periodi di godimento di prestazioni di invalidità; maternità; disoccupazione indennizzata; mobilità o cassa integrazione; contratti di solidarietà o part-time agevolato; servizio militare o civile; congedo per maternità o paternità; congedo parentale; assenza per malattia di un figlio o per assistenza a un disabile; assenza per donare il sangue o per aspettativa legata a incarichi elettivi o sindacali.
Si definiscono, invece, contributi volontari, quelli versati interamente dal lavoratore, di sua iniziativa, previa autorizzazione dell’ente di previdenza stessa.
Tale possibilità è finalizzata al raggiungimento del numero di anni di contribuzione necessario per godere della pensione, posto che non si disponga più del lavoro; ovvero, se ancora si lavora, è finalizzata ad aumentarne l’importo della stessa.
Si hanno, poi, i contributi da riscatto, quelli sempre versati volontariamente dal lavoratore (o dal datore di lavoro che provvede al riscatto) e servono a coprire periodi per i quali non vi è obbligo di contribuzione. Tipico esempio sono gli anni impiegati per una il raggiungimento del diploma di laurea.
Ed, infine, si prevedono i contributi da ricongiunzione, i quali consentono di sommare i versamenti effettuati durante la vita lavorativa a diverse gestioni previdenziali. Il lavoratore ha la facoltà di scegliere l’ente presso cui far confluire i versamenti, ad un costo già prestabilito.
Prima di comprendere quali sono i principi mediante i quali si effettua il calcolo dell’imponibile contributivo, preme riportarsi alla norma di riferimento, ossia al d.lgs n. 314 del 2 settembre 1997, n. 314 rubricato “Armonizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle disposizioni fiscali e previdenziali concernenti i redditi di lavoro dipendente e dei relativi adempimenti da parte dei datori di lavoro”.
Il punto di partenza è l’equiparazione della base imponibile del reddito di lavoro dipendente ai fini fiscali e previdenziali.
A tal proposito, occorre riportare gli artt. 3 e 6 del decreto in questione i quali confermano due principi di calcolo differenti: nel primo caso, nella parte in cui si prevede che “Il reddito di lavoro dipendente e’ costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo, percepiti nel periodo d’imposta”, si applica il cd. principio di cassa; all’art. 6, laddove, invece, il legislatore ha affermato che “Costituiscono redditi di lavoro dipendente ai fini contributivi quelli […]maturati nel periodo di riferimento”, viene confermato il principio della competenza.
Ad eccezione di gratificazioni annuali e periodiche, ai conguagli di retribuzione spettanti a norma di legge o di contratto aventi effetto retroattivo e premi di produzione si applica il principio di cassa.
Dopo i primi problemi interpretativi, l’Inps, l’ente competente per la riscossione dei contributi, ha ritenuto opportuno fare alcuni chiarimenti mediante la Circolare n.97 del 14 giugno 2013.
Più nella fattispecie, l’Inps ha precisato che il calcolo della base imponibile contributiva, secondo il principio della competenza, impone di registrare le transazioni (entrate ed uscite) nel periodo d’imposta a cui si riferiscono indipendentemente dal momento in cui i pagamenti sono stati effettuati. Il principio di cassa, per converso, include costi (da intendersi già pagati) e ricavi (ovviamente già incassati) per cui ci sia stata una manifestazione finanziaria. Nel primo caso, dunque, si effettuerà una differenza tra ricavi (che siano beni o servizi) e costi maturati. Nel secondo caso, invece, è rilevante la differenza tra l’incasso e il pagamento.
Esempio pratico. Ho iniziato un’attività da zero e in un determinato periodo:
- ho comprato 4 pennarelli a 1 euro l’uno e ne ho pagati subito solo 3;
- ho venduto nello stesso periodo 1 solo pennarello a 5 euro incassandone subito il valore.
Il mio conto economico “per competenza”, data la differenza tra ricavi (5) e costi (1) sarà uguale a 4.
Il mio conto cassa, poiché è rilevante la differenza tra incasso (5) e pagamento (3), invece sarà uguale a 2.
In tema di liquidazione di prestazioni di invalidità civile, la Circolare Inps 126/2010 ha stabilito, in mancanza di diversa previsione di legge, che, per la determinazione del limite reddituale, si debba applicare il criterio di cassa.
Sulla questione da ultimo illustrata è sorto un contenzioso giudiziario.
Infatti, alla luce della recente evoluzione giurisprudenziale, L’INPS ha comunicato l’ingresso di una nuova regola, espunta dalla una sentenza, non molto recente, della Corte di Legittimità – più precisamente la Corte di Cassazione Civile a Sezioni Unite n. 12796 del 15 giugno 2005 – la quale statuisce che, per la determinazione del limite reddituale, “devono essere considerati anche gli arretrati – purché non esclusi del tutto da specifiche norme di legge […]non nel loro importo complessivo, ma nelle quote maturate per ciascun anno di competenza”.
L’Inps nel messaggio 3098 del 25 luglio 2017 si adegua all’orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione a Sezioni Unite ed esprime una novità rilevante: “nel computo dei redditi in tema di liquidazione delle prestazioni di invalidità civile gli arretrati vanno calcolati non nel loro importo complessivo, ma sulla base dei ratei maturati in ciascun anno di competenza. Si passa quindi dal criterio di cassa al criterio di competenza”.
Dott.ssa Paola Blaiotta