#WeeklyUpdates | Mediazione obbligatoria e opposizione a D.I.: la sentenza n. 19596/2020 della Cassazione a Sezione Unite
La portata innovativa della pronuncia in esame è desumibile dal campo applicativo alla stessa riservato.
La vicenda trae origine dall’ipotesi di scuola del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo instaurato, questa volta, davanti al Tribunale di Treviso: concessa la provvisoria esecutività del D.I. ed assegnato il termine per la presentazione della domanda di mediazione, quest’ultima non fu presentata per modo che il Tribunale adito dichiarò l’improcedibilità della domanda affermando che, a seguito della pronuncia de qua, si sarebbero prodotti gli effetti di cui all’art. 647 c.p.c., ovvero il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo opposto.
A sostegno della propria decisione, il Tribunale richiamava la sentenza della Cassazione n. 24629 del 03.12.15 a mente della quale nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo l’onere di esperire il tentativo obbligatorio di mediazione incombe su parte opponente, ovvero il debitore ingiunto.
La Corte d’Appello di Venezia, investita del gravame, ritenendo di condividere il dictum sopracitato della Suprema Corte, dichiarava l’appello inammissibile con ordinanza ex art. 348-bise terc.p.c.
I debitori ingiunti hanno, quindi, sulla base di un unico motivo di gravane, proposto ricorso per Cassazione e la Terza Sezione, chiamata a pronunciarsi sulla vicenda, con ordinanza interlocutoria del 12.07.19 n. 18741 ha rimesso gli atti al Presidente ravvisando una questione di massima importanza in ordine alla individuazione della parte tenuta a promuovere il tentativo di mediazione nel giudizio di opposizione a D.I.
Le Sezioni Unite, investite della questione, con la sentenza n. 19569/2020 del 18.09.2020 hanno finalmente diramato il contrasto giurisprudenziale sul punto, ad oggi, esistente.
Ebbene, con l’unico motivo di ricorso, gli opponenti lamentavano ex art. 360, I co, n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del D.Lgs. n. 28/2010, “per aver identificato nell’opponente la parte tenuta ad introdurre il procedimento di mediazione obbligatoria”.
A sostegno di ciò indicavano differenti pronunce giurisprudenziali succedutesi negli anni contrarie a quanto affermato dalla Suprema Corte con la nota sentenza del 2015: a detta (non solo) loro, dunque, l’onore di proporre la mediazione è da ritenersi a carico dell’opposto e non dell’opponente.
“E’ l’opposto, infatti, il creditore in senso sostanziale; e la disposizione dell’art. 5 comma 4, cit. espressamente prevede che la mediazione obbligatoria non deve essere promossa nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione”.
Per tali ragioni, i ricorrenti chiedevano un mutamento di giurisprudenza volto a definire che la conseguenza derivante dalla mancata proposizione della mediazione non sia la irrevocabilità del D.I. opposto, bensì la revoca dello stesso.
Nell’ordinanza interlocutoria, i giudici della Terza Sezione rilevavano come, nel silenzio della legge circa la precisa individuazione del soggetto onerato della proposizione dell’istanza di mediazione, entrambe le opzioni erano da ritenersi possibili e sostenibili.
Le tre tesi
Il consolidato orientamento di legittimità, fino ad oggi, ha ritenuto prevalentemente che “poiché è l’opponente il soggetto interessato alla proposizione del giudizio di cognizione è su di lui che deve gravare l’onore di avviare la procedura di mediazione”.
La tesi opposta, al contrario, si basava sull’assunto per cui in un giudizio di opposizione a D.I. è il convenuto opposto a indossare le vesti dell’attore in senso sostanziale e per tali ragioni il giudizio, in questa sede, torna ad essere un normale giudizio di cognizione.
Da quanto si legge nell’ordinanza interlocutoria, entrambe le tesi costituiscono, in verità, la proiezione di principi costituzionali.
Ed invero, la tesi maggioritaria “si fonda sulla convinzione per cui, essendo l’opponente la parte che intende percorrere la c.d. via lunga in luogo di quella breve, è su di lui che deve gravare l’onore suddetto”; la tesi minoritaria, invece, si basa sul consolidato dicutm costituzionale per cui l’accesso alla giurisdizione condizionata al previo adempimento di oneri non può tradursi nella perdita del diritto di agire in giudizio ex art. 24 Cost.
Ci sono state, poi, delle tesi intermedie che hanno ritenuto che l’onere incombesse, a seconda che il D.I avesse ottenuto o meno la provvisoria esecutività, o sull’una o sull’altra parte.
Il quadro normativo
Occorre ricordare, in primis, le fonti regolatrici degli istituti sopra esaminati prima di entrare nel merito della risoluzione della vicenda.
L’art. 5 comma 1-bis D.Lgs. n. 28/2010 prevede testualmente che chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una delle materie nel decreto stesso indicate “è tenuto, assistito dall’avvocato, preliminarmente ad esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto” o, in alternativa, uno degli altri strumenti di risoluzione alternativa delle controversie (c.d. ADR– Alternative Dispute Resolution) quale condizione di procedibilità della domanda.
L’art. 5, comma 4, lett. a) del precitato decreto dispone, altresì, espressamente che i commi 1-bis e 2 dello stesso articolo non si applichino nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione, avendo riconosciuto il legislatore la peculiarità del procedimento monitorio e quindi collocando la fase della mediazione in un momento successivo a quello a cui viene decisa la questione della provvisoria esecuzione del D.I.
Già nella relazione illustrativa dei lavori preparatori del D.Lgs. n. 28/2010 appariva evidente la difficoltà rilevata dal legislatore nell’inserimento della mediazione – istituto con finalità tipicamente deflattive –all’interno del procedimento monitorio che, al contrario, è caratterizzato dal contraddittorio differito; si legge, infatti, nel documento in questione che tali procedimenti sono posti a presidio di interessi per i quali un tentativo obbligatorio di mediazione “appare inutile o controproducente, a fronte di una tutela giurisdizionale che è invece in grado, talvolta in forme sommarie e che non richiedono un preventivo contraddittorio, di assicurare una celere soddisfazione degli interessi.”
La sentenza n. 24629/2015 e l’onere sull’opponente
Le conclusioni a cui è addivenuta nel 2015 la Suprema Corte si basano essenzialmente ed esclusivamente sulla natura deflattiva del procedimento di mediazione, sulla particolare struttura del procedimento di ingiunzione nella sua fase ante causame di opposizione, nonché sulla opportunità o meno di porre l’onere di instaurare il procedimento di mediazione a carico di chi risulta titolare di une effettivo interesse all’introduzione di un giudizio di merito a cognizione piena – giudizio per l’appunto che il creditore, ricorrendo al più agile strumento del procedimento monitorio, ha inteso palesemente evitare.
Le diverse pronunce di merito adesive alla sentenza del 2015 hanno prevalentemente sostenuto l’onere in capo all’opponente in quanto allo stesso, che assume la veste processuale di attore, grava l’impulso processuale volto all’instaurazione di un giudizio di cognizione per valutare la fondatezza della domanda; inoltre, il D.I., in mancanza di opposizione, è un provvedimento suscettibile di passare in giudicato, motivo per cui è la parte interessata ad impedire che ciò avvenga che deve “attivarsi” mediante la proposizione del giudizio di merito e, quindi, la promozione della mediazione.
Le ragioni a sostengo della tesi contraria: l’onere sull’opposto
Altri tribunali di merito che hanno condiviso la tesi opposta al dicutmdel 2015 hanno, invece, ritenuto che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo le parti riacquistano ciascuna la propria posizione, ragione per la quale è necessario che sia il creditore opposto a doversi attivare come accadrebbe se fosse instaurato un procedimento ordinario; secondariamente, l’improcedibilità del giudizio per mancato esperimento della procedura di mediazione determinerebbe la caducazione del D.I.. senza pregiudizio per il creditore, di fatti, di ottenerne un altro.
Le Sezioni Unite
L’intervento degli Ermellini a Sezione Unite, in questo caso, è stato di fondamentale importanza in quanto, si osserva, che le diverse tesi portano indiscutibilmente a due soluzioni ontologicamente differenti.
Ebbene, l’adesione alla prima tesi (sentenza del 2015) implica che il mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, qualora ricada in capo all’opponente, produrrà l’improcedibilità della domanda di opposizione e, quindi, irrevocabilità del D.I; diversamente, qualora ricada sull’opposto, produrrà la revoca del decreto ma non inibirà la riproposizione del giudizio monitorio.
In primo luogo, partendo da un giudizio meramente testuale, osservano le Sezione Unite, partendo dal dato normativo a loro disposizione, che in virtù dell’art. 4, co. 2 del D.Lgs. n. 28/2010, apparirebbe alquanto inopportuna la necessità di esperire la mediazione – nella cui istanza occorre specificare le ragioni della pretesa – laddove l’opponente sia costretto semplicemente a “reagire” all’iniziativa del creditore, quindi trovandosi incredibilmente costretto ad indicare nell’istanza le ragioni di una pretesa non sua.
Anche leggendo l’art. 5, co. 1-bis del suindicato decreto – che sottolinea che chi intende esercitare in giudizio un’azione ha l’obbligo di esperire la mediazione– appare più opportuno identificare il soggetto “interessato” con il creditore procedente nonché parte opposta (c.d. attore sostanziale)nel giudizio di merito[1].
Poi, l’art. 5 co. 6, dispone, altresì, che la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale: collegando tale previsione con gli artt. 2943 e 2945 c.c. non appare logico che un effetto favorevole all’attore quale l’interruzione della prescrizione si determini grazie ad una iniziativa assunta dal debitore (che nella fase di opposizione al monitorio è appunto l’opponente).
Le considerazioni delle S.U. sono state anche di natura logica e sistematica: in prim’ordine, è utile la lettura della norma che prevede l’esperimento della procedura solo in un momento successivo alla pronuncia sulle istanze di provvisoria esecuzione proprio perché solo dopo di esse si rende necessaria la prosecuzione del giudizio di cognizione mediante un procedimento ordinario; appare, pertanto, più conforme al sistema che le parti riprendano le proprie posizioni e si attengano ai propri obblighi processuali.
Tuttavia, ciò che ha fondato il convincimento dei Giudici di Piazza Cavour è la diversa soluzione a cui si addiviene nel caso in cui la mediazione non sia esperita e quindi la domanda venga ritenuta improcedibile.
Se, invero, l’onere fosse a carico dell’opponente e questi rimanesse inerte, a tale comportamento conseguirebbe l’improcedibilità della domanda e la irrevocabilità del decreto ingiuntivo che, quindi, assumerebbe la qualità di cosa giudicata; nel caso contrario, se l’onere fosse a carico dell’opposto, la sua inerzia, comportando l’improcedibilità e la revoca del D.I., non impedirebbe, comunque, la sua riproposizione senza l’effetto preclusivo conseguente invece alla pronuncia di irrevocabilità.
In altri termini, scrive il Procuratore Generale nella sua requisitoria “poiché l’opponente si è attivato promuovendo il giudizio di opposizione – che è, in concreto, l’unico rimedio processuale che la legge gli riconosce in presenza di un provvedimento monitorio – ricollegare alla sua inerzia nel promuovere il procedimento di mediazione un effetto identico appare un’evidenza forzatura”.
Le Sezioni Unite, per tali ragioni, hanno ritenuto di fondare la decisione sulla scelta più confacente al dettato costituzionale: porre l’onere di promozione della mediazione in capo all’opponente si traduce, inesorabilmente, in caso di inerzia, nella irrevocabilità del D.I.
Se è vero come è vero che la mediazione, rientrando nel novero dei procedimenti alternativi di risoluzione delle controversie, ha una finalità deflattiva in ragione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost., lo stesso non può comunque prevalere laddove venga indiscutibilmente leso quello che è il preminente diritto di difesa ex art. 24 Cost.
Ecco, quindi, spiegate le ragioni della Suprema Corte che, in conclusione, ha pronunciato il presente principio di diritto: “Nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, i cui giudizi vengano introdotti con un decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l’onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo”.
Alla compressione del diritto alla ragionevole durata è prevalso legittimamente la garanzia del diritto di difesa, fondamento indiscusso del nostro sistema giuridico e costituzionale.
Dott.ssa Martina Vetere
[1]In effetti, l’art. 643, III co, c.p.c. stabilisce che la pendenza della lita decorre con la notificazione del decreto ingiuntivo.