#WeeklyUpdates | Il riconoscimento giuridico del “mobbing familiare”
Il “mobbing familiare” consiste in tutte quelle condotte offensive e vessatorie che vengono perpetrate nel tempo in ambito familiare.
In genere, il mobbing familiare si estrinseca in una forma di violenza poco visibile (silenzi, parole, inganni, indifferenza, umiliazioni, sopraffazioni, aggressioni verbali) prolungata nel tempo, avente il principale obiettivo di distruggere psicologicamente la vittima.
A lungo la Giurisprudenza ha inquadrato la fattispecie nell’ambito di quella più conosciuta del “mobbing sul lavoro”, ora pian piano ne sta riconoscendo una natura autonoma e giuridicamente rilevante.
Infatti, il mobbing familiare è una tipologia di mobbing molto controversa perché non tutti gli operatori giuridici ne riconoscono l’esistenza, sostenendo che il fenomeno sia limitato all’ambiente lavorativo.
Tuttavia in Italia il fenomeno, pur non ricevendo attenzione specifica dal legislatore, è entrato a far parte del vocabolario di dottrina e giurisprudenza. Il leading case in materia ha trovato riconoscimento in una storica sentenza del Tribunale di Torino del 21 febbraio 2000 dove il giudice di merito ha definito “mobbing familiare” tutte quelle azioni contrarie al principio di uguaglianza morale e giuridica dei componenti della famiglia posto dall’art. 3 della Costituzione Italiana, che com’è noto pone pari dignità sociale in capo a tutti i cittadini e che trova nell’art. 29 la sua conferma e specificazione.
Tale sentenza per la prima volta pone come motivo di addebito della separazione la condotta del marito che, con comportamento vessatorio, aveva reso la convivenza matrimoniale intollerabile: l’uomo teneva dei comportamenti irriguardosi, offendendola non solo in privato ma anche di fronte agli amici, assumendo atteggiamenti sprezzanti e con comportamenti ingiuriosi, prottratisi e pubblicamente esternati per tutta la durata del rapporto coniugale, feriva la moglie nell’autostima, nell’identità personale e nel significato che lei aveva della propria vita.
Successivamente la dottrina giuridica ha anche elaborato una divisione all’interno della macrocategoria del mobbing familiare:
- il mobbing coniugale;
- il mobbing genitoriale.
Nel primo caso si tratta di condotte offensive, volontarie e continue nei confronti dell’altro coniuge con lo scopo di spingerlo ad avere comportamenti o a prendere delle decisioni che altrimenti non avrebbe preso, mettendo in discussione il suo ruolo all’interno del nucleo familiare.
Nel secondo caso invece il mobbing avviene tra due genitori ed è finalizzato ad escludere l’altro dall’esercizio della potestà genitoriale e generalmente avviene in situazioni di separazione o divorzio.
In tale ottica la Cassazione con ordinanza n°21296/2017 ha stabilito che è del tutto “corretta la pronuncia dell’addebito della separazione per chi pratica mobbing familiare nei confronti del coniuge, tramite vessazioni tali da costringere il partner ad abbandonare il tetto coniugale, se questo rileva come conseguenza della condotta colpevole dell’altro”.
Inoltre, anche una recente sentenza della Corte di Appello di Catania del 26.11.2015 ha affermato che “………il concetto di mobbing familiare è preso “in prestito” dai rapporti di lavoro, ed è proprio da questi che è necessario partire per capire esattamente cosa sia il mobbing familiare………”.
Si tratta, come già espresso, di un comportamento prevaricatore normalmente favorito dall’asimmetria dei ruoli quando invece il matrimonio dovrebbe essere basato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, i quali hanno gli stessi diritti, che dovrebbero esercitare congiuntamente e di comune accordo e gli stessi reciproci doveri, vale a dire fedeltà, assistenza, collaborazione e coabitazione.
In buona sostanza il mobbing familiare si estrinseca in tutta una serie di comportamenti coercitivi e persecutori e di atti di violenza verbale e psicologica riconducibili ad una violazione degli artt. 143 e ss del codice civile.
La Corte di Cassazione (cfr. Cass. Civ. n°10285/2018) ha precisato ulteriormente che per identificare il mobbing in qualsiasi ambito (e quindi anche in famiglia) ci deve essere la ricorrenza dei seguenti requisiti:
- la reiterazione nel tempo dei comportamenti persecutori;
- il danno alla salute, sia fisico che psichico, della vittima;
- il nesso causale tra la condotta “mobbizzante” ed il danno alla salute;
- l’intenzionalità persecutoria dell’autore.
Molto spesso le tecniche di destabilizzazione poste in essere dal mobber non sono sempre riconoscibili, gli atteggiamenti molesti infatti raramente sfociano in una vera e propria violenza fisica o raggiungono la soglia dei reati disciplinati dalla legge, ma nel complesso procurano danni di una certa entità, sulla psiche del mobbizzato, sulla sua salute e sulla sua esistenza, causandogli la perdita dell’autostima, minandone seriamente la personalità e spingendolo nei casi più gravi anche a compiere gesti estremi.
Secondo diversi studi, il comportamento del mobber nei confronti dell’altro coniuge può provocare seri danneggiamenti anche nella psiche dei figli, causando la c.d. “sindrome da alienazione genitoriale”, il cui riconoscimento tuttavia oggi nelle Corti e nella comunità scientifica internazionale è oggetto di querelle.
La Cassazione ha fatto una importantissima precisazione sul mobbing familiare: si tratta di un illecito che non esiste in via autonoma per il diritto, poiché le condotte che abbiamo descritto rientrano – quasi tutte – in autonomi reati, già puniti con le sanzioni del codice penale. In caso di crisi, anche grave e cronica, tra coniugi, non è pertinente e, quindi, non applicabile la normativa sul mobbing, presupponendo quest’ultimo che tra gli autori dell’illecito e la vittima sussista comunque uno stato di subordinazione, insussistente tra coniugi, i cui rapporti sono qualificati da un carattere di assoluta parità: in materia familiare la nozione ontologica ed effettuale di mobbing ha contenuto soltanto sociologico e descrittivo, e come tale, privo di rilevanza giuridica.
Seguendo il ragionamento della Cassazione da ultimo citato, non si può agire contro il mobbing familiare come autonomo illecito ma bisogna individuare le tutele che l’ordinamento prevede per le singole ipotesi. Detto in altre parole non c’è uno specifico rimedio contro il mobbing visto che le condotte sono già punite da altre norme di legge.
In sintesi, dal punto di vista civilistico la vittima potrà avanzare richiesta di addebito della separazione e intentare un giudizio autonomo per ottenere il risarcimento dei danni patiti a causa delle condotte dell’altro coniuge contrarie ai doveri matrimoniali; in ambito penale invece la vittima dovrà sporgere denuncia o querela per ogni condotta mobbizzante che sia prevista come reato da una specifica disposizione di legge.
Il mobbing in famiglia è un fenomeno complesso, di difficile interpretazione anche sul piano probatorio e l’elevata “cifra oscura” dei casi non rilevati o non denunciati certamente non aiuta.
Per di più nell’ambito della comunità scientifica vi è ancora oggi chi nega al fenomeno un’autonoma rilevanza. Harald Ege, ad esempio, una delle menti più brillanti legate allo studio e definizione del termine mobbing, non lo riconosce: secondo il noto psicologo, il mobbing è una questione puramente incentrata su temi lavorativi e da essi non deve discostarsi per sfociare in tema familiare.
Tale opinione è tuttora oggetto di critiche e dibattiti ed ogni Paese adotta il proprio stile di pensiero.
In definitiva e concludendo, a prescindere dal nome attribuito per descrivere la realtà dei comportamenti elencati, il fenomeno viene ufficialmente sanzionato come condotta illecita. Non resta perciò che attendere i futuri sviluppi della nuova frontiera del mobbing.
In ogni caso uscire dal tunnel delle vessazioni e delle violenze fisiche, morali e psicologiche familiari è possibile, decidendo con coraggio di riprendere in mano la propria vita e di rivolgersi a chi ha gli strumenti concreti, le competenze, la volontà ed il cuore per intervenire.
Mettere fine ad ogni tipo di violenza familiare…INSIEME, SI PUO’!
Avv. Isabella Saponieri