#WeeklyUpdates | Il contratto simulato: effetti e strumenti di tutela
Il concetto di simulazione fa istintivamente pensare a qualcosa di nascosto perché vietato o illecito: in effetti, il significato del termine simulazione sta ad indicare la “manifestazione di sentimenti o intenzioni non vere oppure una condizione non corrispondente a realtà, per secondi fini più o meno riprovevoli”.
In realtà, non è sempre detto che chi simuli stia ledendo il diritto di un altro soggetto: la legge, infatti, constata l’esigenza del fenomeno, lo consente e ne regola le conseguenze.
L’istituto della simulazione, infatti, è frutto di accesi dibattiti tenuti dalla dottrina e dalla giurisprudenza: la conclusione a cui si è giunti è che la simulazione nel contratto crea due negozi distinti ovvero l’accordo simulatorio e il negozio simulato.
Il nostro codice civile tratta la disciplina del contratto simulato nel capo decimo del libro IV regolandone gli effetti fra le parti, verso i terzi, nei rapporti con i creditori e con la prova.
S’intende, dunque, per contratto simulato un contratto stipulato dalle parti con l’intesa che esso non corrisponda alla realtà del loro rapporto.
La ratio si fonda sul fatto che la realtà contrattuale, se conosciuta all’esterno, creerebbe problemi che le parti intendono evitare nascondendola, per l’appunto, sotto una diversa apparenza.
Gli elementi caratterizzanti della simulazione si possono sintetizzare in: contratto simulato o apparenza contrattuale e accordo simulatorio. Il primo rappresenta un fatto posto in essere per creare la situazione apparente; il secondo, invece, indica l’atto che determina la natura fittizia del contratto simulato.
L’ordinamento interno prevede due tipologie di simulazione: a) la simulazione assoluta e b) la simulazione relativa.
La simulazione si definisce assoluta allorquando le parti fingono di stipulare un determinato contratto i cui effetti non vogliono che si producano; in tali ipotesi il contratto deve considerarsi mai concluso.
Un classico esempio di simulazione assoluta si verifica quando Tizio aliena simulatamente un immobile a Caio ma entrambi sono d’accordo che la proprietà, di fatto, non si trasferisca in capo a Caio e che questi correlativamente non debba corrisponderne il prezzo pattuito.
La simulazione è, al contrario, relativa quando le parti fingono di stipulare un contratto diverso da quello realmente voluto. La simulazione relativa, a sua volta, si distingue in: a) simulazione relativa oggettiva e b) simulazione relativa soggettiva.
Nella prima ipotesi le parti fingono un contratto diverso in tutto o in parte da quello dissimulato. La seconda ipotesi, invece, si verifica quando si stipula un contratto con il soggetto X (in qualità di prestanome) ma il contratto avrà effetto verso il soggetto Y (la parte negoziale che non appare).
In riferimento all’istituto si pongono alcune rilevanti questioni: che natura giuridica ha il contratto simulato? Esso produce effetti? Quali?Vverso chi?.
Si cercherà di dare una risposta a tutti questi interrogativi.
La dottrina e la giurisprudenza più affermate qualificano l’ipotesi di nullità del contratto in quanto, a norma dell’art. 1414 c.c., esso è privo di effetti giuridici tra le parti. (V. Cass. Civ. Sez. II 26.03.18 n. 7459 nella parte in cui “[…] determina la nullità del negozio o del contratto simulato per anomalia della causa rispetto allo schema tipico che ne giustifica il riconoscimento normativo”).
La disciplina dei suoi effetti è contenuta agli artt. 1414-1416 del codice civile.
Più precisamente agli artt. 1415 e 1416 c.c. sono previste le norme in riferimento alla simulazione rispetto ai terzi, ovvero estranei al negozio simulato.
I terzi in questione sono rispettivamente: a) i terzi pregiudicati dalla simulazione; b) i terzi aventi causa e c) i terzi creditori.
I primi sono quelli che hanno interesse a far prevalere la realtà, ad esempio il terzo che acquista un bene dal simulato alienante. I secondi sono “quelli che in buona fede hanno acquistato diritti dal simulato acquirente”.
La Suprema Corte ha, però, affermato un principio secondo il quale “il terzo non ha sempre un interesse generalizzato ad ottenere il ripristino della situazione reale, ma solo ove la sua posizione giuridica risulti lesa dall’apparenza dell’atto” (Cass. Civ. Sez. III 20.12.2013 n.28610).
Un discorso a parte meritano i terzi creditori che, a loro volta, si distinguono in: a) creditori del titolare apparente e b) creditori del simulato alienante.
Nel primo caso i creditori hanno interesse a far valere la simulazione così il bene ritorna nella disponibilità del patrimonio del loro debitore; nel secondo caso, invece, i creditori hanno interesse a far valere l’efficacia dell’atto di acquisto per essere più garantiti.
I terzi possono far valere la situazione reale e far venire meno gli effetti del fenomeno giuridico attraverso l’azione di simulazione, ovvero un’azione di accertamento. Tale azione di accertamento sarà solo negativa ed imprescrittibile in caso di simulazione assoluta e sia negativa che positiva, viceversa, nel caso di simulazione relativa. In quest’ultima ipotesi la prescrizione dell’azione di accertamento è ancora oggetto di discussione in dottrina e in giurisprudenza.
L’ultimo aspetto da analizzare è il regime probatorio.
La prova è considerata libera nei confronti dei terzi, ovvero esperibile con qualsiasi mezzo di prova, al fine di fornire una maggiore tutela.
All’uopo, giova ricordare una pronuncia, seppur non recente, che ha stabilito che “il soggetto terzo non è soggetto ai limiti probatori che il codice prevede per le parti del contratto simulato” (V. Cass. Civ. Sez.I, 21/10/1994, n. 8638).
Così, di conseguenza, l’ordinamento adotta un diverso regime probatorio a seconda che la simulazione sia fatta valere dai creditori o dai terzi nei confronti dei contraenti, ovvero da una delle parti contro l’altra o nei confronti di terzi.
La prova è, dunque, considerata libera nei confronti dei terzi, ovvero esperibile con qualsiasi mezzo di prova, al fine di fornire una maggiore tutela.
Legittimati a questi privilegi sono, quindi, sia i creditori che i terzi.
La nozione di creditore non presenta difficoltà mentre va chiarita quella di terzi.
Sono considerati terzi, oltre i creditori, che la legge menziona espressamente, gli aventi causa a titolo singolare dei contraenti e tutti coloro che siano rimasti completamente estranei all’atto simulato.
Terzo è anche il legittimario: lo ha stabilito, di recente, la Suprema Corte secondo la quale “l’erede legittimario […] assume, rispetto ai contraenti, la qualità di terzo […] quando abbia proposto la domanda sulla premessa dell’avvenuta lesione della propria quota di legittima. […] Il legittimario non può, pertanto, essere assoggettato ai vincoli probatori previsti per le parti dall’art. 1417 c.c.” (V. Cass. Civ. n. 15510/2018).
Sono da considerare parti, invece, non soltanto gli originari contraenti, ma anche i loro successori a titolo universale. È, altresì, considerato “parte” il successore a titolo particolare che sia a conoscenza della simulazione ed abbia accettato, pur non avendo partecipato all’atto, la situazione concordata dai contraenti.
Le parti non possono provare la simulazione per testimoni o attraverso le presunzioni, a meno che l’accertamento della simulazione non sia diretto a far valere proprio l’illiceità del contratto “dissimulato”. La ratio è evidente: essi sono in grado di procurarsi la prova scritta e, pertanto, l’ordinamento non consente di utilizzare né la prova per testi né quella attraverso le presunzioni
E, nello specifico, la Suprema Corte ha stabilito che “la valutazione ed il giudizio di idoneità dei fatti posti a fondamento dell’argomentazione induttiva, […] è rimesso al giudice di merito, onde la motivazione da questi adottata, ove non viziata, non è censurabile in sede di legittimità” (V. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 7512 del 27 marzo 2018).
Dott.ssa Paola Blaiotta