#WeeklyUpdates | Exceptio non rite adimpleti contractus e strumenti di tutela nel contratto di locazione
Quando il proprietario di un immobile decide di concedere lo stesso in locazione ad un privato per ivi abitarci e condurre tutti gli aspetti rilevanti della sua vita, le vicende che possono susseguirsi dalla stipulazione del relativo contratto sono le più variegate attesa la moltitudine di sfaccettature che caratterizzano questo tipo di contratto.
Innanzitutto, per dirsi valido il contratto – come del resto tutti i tipi di obbligazioni contrattuali – ai sensi dell’art. 1321 c.c., esso deve contenere quelli che sono i suoi elementi essenziali ovvero l’accordo delle parti, l’oggetto, la causa e rispettarne la forma.
Una volta perfezionato, quindi, a meno che lo stesso sia sospensivamente condizionato oppure sottoposto ad un termine iniziale, il contratto inizia a spiegare i suoi effetti e deve essere eseguito dalle parti contraenti nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, così come richiesto dal nostro legislatore.
Ebbene, fatta questa breve ma doverosa premessa, le disposizioni codicistiche che interessano la presente disanima sono tutte contenute agli artt. 1571, 1575, 1587 ed infine l’art. 1460 c.c..
Il contratto di locazione – che trova la sua disciplina generale nel Codice Civile e quella speciale nella Legge n°431 del 1998 per la categoria dei “contratti di locazione di immobili adibiti ad uso abitativo” e, limitatamente agli articoli non abrogati, ancora prima nella Legge n°392 del 1978 – è quel contratto col quale una parte si obbliga a far godere all’altra una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo (art. 1571 c.c).
Ci troviamo, pertanto, di fronte ad un locatore, un conduttore ed un immobile.
Nello specifico, poi, l’art. 1575 c.c. sancisce quelle che sono le principali obbligazioni gravanti sul locatore, ovvero consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione, mantenerla in stato da servire all’uso convenuto e garantirne il pacifico godimento durante la locazione.
Il successivo art. 1587 c.c. disciplina quelle invece gravanti sul conduttore, il quale deve prendere in consegna la cosa e osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l’uso determinato nel contratto o per l’uso che può altrimenti presumersi dalle circostanze e dare il corrispettivo nei termini convenuti.
Non è fatto strano, pertanto, assistere nelle aule di giustizia ad aspre contese in cui locatore e conduttore si accusano e contro accusano circa l’inadempimento o l’inesatto adempimento dei patti contenuti nel contratto di locazione o il mancato rispetto delle regole previste dalla Legge, che determinano, talvolta, drastiche decisioni da parte del Giudice chiamato a dirimere tali controversie.
Sicuramente, la maggior parte delle dispute nascenti dalla stipulazioni di siffatti contratti è infatti quella che vede il locatore intimare lo sfratto per morosità, a seguito del mancato pagamento del canone di locazione da parte del conduttore.
Tuttavia, da un eventuale giudizio per inadempimento contrattuale, il convenuto potrebbe anche uscirne vincitore, il quale, ritualmente costituendosi, potrebbe eccepire, di contro, la legittimità del proprio inadempimento sulla base dell’analogo comportamento del locatore, posto in violazione degli obblighi che la legge pone a suo carico, tra cui principalmente quello di mantenere la cosa in stato da garantirne l’uso, quindi priva di vizi.
L’eccezione di cui trattasi, fatta valere dal convenuto in giudizio, è la c.d. exceptio non rite adimpleti contractus (letteralmente eccezione di contratto non esattamente adempiuto) prevista dall’art. 1460 c.c. e ritenuta pacificamente applicabile alla locazione di immobili ed è intesa come quel rimedio consistente nel rifiuto, da parte di uno dei contraenti, di adempiere esattamente la propria prestazione quando l’altro non adempia o non offra di adempiere contemporaneamente la propria.
Va tuttavia evidenziato che il suo riconoscimento e la sua applicazione in subiecta materia è del tutto particolare, rispetto alle altre figure contrattuali a prestazioni corrispettive, in quanto va considerato che il rapporto locatizio è caratterizzato dal concesso godimento dell’immobile, integrante la prestazione del locatore a fronte della quale corrisponde quella principale del conduttore, ovvero il pagamento del corrispettivo convenuto.
Ciò comporta, in via generale, che la mancata prestazione cui è obbligato il conduttore (che si sostanzia in primo luogo nel pagamento del canone) deve ispirarsi sempre e comunque a criteri di correttezza e buona fede, di modo che non possa produrre una alterazione del sinallagma contrattuale, determinando uno squilibrio delle rispettive posizioni delle parti del rapporto locatizio.
Ciò significa che quando non viene pagato il canone di locazione è legittima la reazione del locatore attraverso il ricorso allo speciale strumento processuale dello sfratto per morosità, laddove l’inadempimento del conduttore non è ispirato ai suddetti criteri, salvo il caso in cui la prestazione del locatore (che si sostanzia nel permettere il godimento del bene locato) non venga completamente a mancare, come ad esempio nel caso della esistenza di vizi gravi nell’immobile che comportano la impossibilità di utilizzare il bene da parte del conduttore.
Infatti, tale evenienza è stata accuratamente prevista dal legislatore il quale, all’art.1578 c.c. ha previsto che in presenza di vizi che diminuiscono in modo apprezzabile l’idoneità del bene locato per l’uso pattuito, il conduttore può chiedere, in alternativa alla risoluzione del contratto, la riduzione del corrispettivo, proponendo la necessaria domanda ai competenti organi giurisdizionali, il che implica, ovviamente, l’impossibilità per lo stesso conduttore di sospendere totalmente o parzialmente il pagamento del canone in attesa dell’accertamento giudiziale sulla fondatezza della domanda, da scrutinarsi esclusivamente dal Giudice competente al quale è demandato il compito di accertare e valutare l’eventuale squilibrio tra le prestazioni dei contraenti.
Questioni del genere sono state più volte sottoposte all’attenzione dei Giudici della Suprema Corte di Cassazione, i quali hanno ormai consolidato un vero e proprio diritto vivente sull’ammissibilità o meno dell’eccezione ex. art 1460 c.c.: si veda la pronuncia della Cassazione civile sez. III, 07/03/2001, n.3341 che ha statuito “…L'”exceptio non rite adimpleti contractus”, di cui all’art. 1460 c.c., postula la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, da valutare non in rapporto alla rappresentazione soggettiva che le parti se ne facciano, ma in relazione alla oggettiva proporzione degli inadempimenti stessi, riguardata con riferimento all’intero equilibrio del contratto ed alla buona fede; ne consegue che il conduttore, qualora abbia continuato a godere dell’immobile, per quanto lo stesso presentasse vizi, non può sospendere l’intera sua prestazione consistente nel pagamento del canone di locazione, perché così mancherebbe la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, potendo giustificarsi soltanto una riduzione del canone proporzionata all’entità del mancato godimento, applicandosi, per analogia, i principi dettati dall’art. 1584 c.c. …”;
Ed ancora, la sentenza di Cassazione civile sez. III, 11/04/2006, n.8425: “…In tema di inadempimento contrattuale vale la regola che l’exceptio non rite adimpleti contractus, di cui all’art. 1460 c.c., si fonda su due presupposti: l’esistenza dell’inadempimento anche dell’altra parte e la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, da valutare non in rapporto alla rappresentazione soggettiva che le parti se ne facciano, bensì in relazione alla situazione oggettiva. In applicazione di tale principio, qualora un conduttore abbia continuato a godere dell’immobile locato, pur in presenza di vizi, non è legittima la sospensione da parte sua del pagamento del canone, perché tale comportamento non sarebbe proporzionale all’inadempimento del locatore….“.
Basti poi ricordare, da ultimo, la sentenza del 27.09.2016 n. 18987, che ha ribadito “….In altri termini, al conduttore non è consentito di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, e ciò anche quando si assume che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore. La sospensione totale o parziale dell’adempimento dell’obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un’alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti….” .
Insomma, è assodato e cristallizzato che il conduttore non può sospendere totalmente o parzialmente il pagamento del canone di locazione, a meno che non venga completamente a mancare la controprestazione del locatore in presenza di evidenti problematiche idonee ad impedire il pacifico godimento del bene locato tra i quali, ad esempio, anche la mancanza dei requisiti di abitabilità dell’immobile se ed in quanto tale inidoneità sia in grado di impedire in modo assoluto l’utilizzo dell’immobile locato.
In definitiva i rimedi concessi al conduttore in presenza di vizi gravi – definiti dalla giurisprudenza come quei difetti non attinenti allo stato di manutenzione o conservazione ma incidenti sulla composizione, costruzione e funzionalità strutturale dell’immobile, quindi sulla idoneità all’uso – sono quelli esclusivamente quelli previsti all’art. 1578 c.c. e cioè della risoluzione del contratto e/o della riduzione della controprestazione ma non anche dell’esatto adempimento, escludendosi la fondatezza della eccezione ex art. 1460 c.c. nei limiti di cui sopra si è detto.
Pertanto, l’arbitraria decisione di sospendere, totalmente o parzialmente, il pagamento del corrispettivo, supportata dalla asserita esistenza di vizi sull’immobile locato, non conosciuti o conoscibili al momento della stipulazione del contratto di locazione, o sopravvenuti, comunque inidonei ad impedire il concreto godimento del bene locato, si sostanzierebbe, in capo al conduttore, in un comportamento contrario ai principi di correttezza e buona fede, e quindi del tutto arbitrario ed inidoneo rispetto all’idea di paralizzare una ordinanza di rilascio, in una eventuale procedura di sfratto per morosità, ma anzi, si realizzerebbe la specifica “Risoluzione del contratto di locazione per omesso versamento del canone” ai sensi dell’articolo 1456 del c.c., con conseguente condanna del conduttore al rilascio dell’immobile, in caso di mancato versamento delle somme dovute a titolo di canone di locazione per oltre 6 mesi.
A tal riguardo, in tema di onere della prova, trova ovviamente applicazione il generale principio dell’inadempimento di un’obbligazione, e quindi il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento, deve soltanto provare la fonte negoziale o legale del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione dell’inadempimento della controparte.
Il debitore convenuto, invece, è gravato dall’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, e uguale criterio di riparto dell’onere della prova è applicabile nel caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno, si avvalga dell’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1450 c.c.
Appare chiara, in conclusione la principale ratio sottesa all’istituto esaminato ovvero quella di rappresentare una forma di autotutela in considerazione della natura sinallagmatica del contratto, in base alla quale ciascuna prestazione trova giustificazione nella prestazione della controparte; invero, la funzione principale, diretta ed immediata dell’eccezione de qua è quella di evitare la rottura del rapporto di corrispettività tra le due prestazioni del contratto.
Avv. Manuela Stumpo