6 – 11 – 2000
“Nonno parlava poco, spesso era stanco e dormiva sulla poltrona del soggiorno, ma ci amava tutti. Profondamente.”
Quando penso a mio Nonno penso ad una parola ben precisa: eredità.
Si badi bene, non sto parlando dell’eredità nel senso più̀ materialistico del termine; parlo di quell’assetto di valori, di storie, di esperienze, un lascito che non può̀ far a meno di arricchire chi resta, forse in un senso ancor più completo di quanto possa fare il vile denaro.
Il 06 novembre del 2000 ero ancora una bambina, all’età̀ di sei anni troppe cose ancora sono incomprensibili.
La morte, poi, a poco a poco dissolve ogni immagine e rimangono poche le sfumature vive nei ricordi.
Il volto perde forma; di Nonno non dimenticherò mai, però, il folto e pungente pizzetto e gli occhi, piccoli e vispi.
Il suono della voce, talvolta, poiché l’udito ad un certo punto perde l’abitudine, non è più riconoscibile; ma la risata di Nonno Francesco, forse perchè rimbomba in quella di mio padre e di mia zia, è sempre nel mio cuore.
Ho pochi ricordi reali – in questo le fotografie sono dei supporti indispensabili, custodite con cura negli scaffali dei ricordi da parte dei miei genitori – ma seppur in numero esiguo, questi riescono a tenere viva la presenza di chi oggi non c’è più.
Mio nonno amava la natura: a Cosenza vi abitava ma la sua casa era Malvito, il luogo dove è nato e cresciuto. Quella casa in collina era la sua reggia, il caminetto il suo miglior amico, e gli animali i suoi compagni di vita. Cavalli, maiali, pappagalli, qualsiasi animale era il benvenuto in famiglia. Ricordo bene un episodio: era mattino presto, salimmo in Jeep io, Nonno e mio fratello Osvaldo e andammo verso un grande terreno. Lì, dentro al recinto, feci la conoscenza dei cavalli: Nonno li chiamava per nome e dava loro da mangiare. Ed io, ingenuamente, tra me e me pensai “ma lui fa l’avvocato, perchè parla con i cavalli?”
L’Avvocato: mi sembrava, allora, un parolone.
Entravo nel suo studio e rimanevo ammaliata dai grandi fascicoli, dalla macchina da scrivere. Osservavo curiosamente i piccoli occhialini che teneva sempre sulla punta nel caso, gli stessi che ancora oggi papà indossa per leggere il giornale sul divano.
Qualche anno più avanti, affacciandomi all’università, io non scelsi la facoltà di Giurisprudenza: fu lei che scelse me. Probabilmente, involontariamente, la vita che ho visto scorrermi davanti gli occhi fin da piccolina ha riempito le mie giornate, fino a diventare essenziale e imprescindibile nel mio quotidiano allora e, poi, nel mio futuro oggi.
A tal proposito, tanti sono stati gli attestati di stima che gli ex collaboratori hanno rivolto a mio Nonno in questi giorni per il tramite di mio padre, e di questo vado fiera.
Tra i più significativi:
“Ho la piena consapevolezza di essere stata fortunata ad avere avuto la possibilità di aver mosso i miei primi passi accanto ad “gigante” dell’avvocatura cosentina e non solo. Ho imparato tanto dal mio Maestro, Avv. Francesco, e non solo di diritto. Il suo studio è stato, per me, una magnifica palestra per avviarmi all’esercizio della professione; i suoi insegnamenti, una fonte inestimabile per affrontarla con decoro, rispetto e dignità. Non smetterò mai di ricordarlo, sempre e con tanta stima e affetto.” (Patrizia Mollo).
“Tuo padre ha segnato per me una tappa decisiva e fondamentale per il mio percorso di vita e professionale. È stato l’Uomo che per primo ha saputo concedermi la sua piena fiducia e delega nella professione, nonché, infondermi sicurezza nelle capacità di poterla intraprendere con passione. Ha creduto in me ed io credevo in lui, con trasparenza ed onestamente. Eravamo ormai quasi sempre io e lui nella sua stanza ad analizzare i suoi molteplici contenziosi ed interminabili pile di fascicoli, ed io onorato di essere per lui, in quel periodo, un importante riferimento per contribuire alla risoluzione delle sue controversie. La sua morte, fulminante e improvvisa, me la ricordo come fosse ora… ha lasciato in me sgomento e tristezza immane, anche per le modalità ed il luogo in cui è avvenuta. Sono fiero di averlo conosciuto e di poter citare nel mio curriculum il suo prezioso contributo, senza il quale, posso dirlo sinceramente, non avrei avuto le occasioni professionali che poi hanno segnato il mio cammino” (Luigi Scarpelli).
“Un’eredità professionale che anche noi che ci siamo formati con i figli possiamo, nel nostro piccolo, avere l’onore di tramandare. Il mio unico rammarico è quello di essere arrivato a studio una settimana dopo la sua morte. Mi avrebbe arricchito tanto avere l’opportunità di fare pratica con tuo padre. Anche se ai figli ha lasciato una bellissima eredità” (Marco Facciolla).
Ho spesso taciuto le mie origini, mi sono sempre sentita intimidita quando mio padre ripeteva il nostro cognome, non volevo usarlo come corsia preferenziale o altro: solo oggi capisco quanto, contrariamente a ciò che credevo, sia sempre stato un modo per sottolineare quanto lui amasse le sue origini, il suo sangue, la sua famiglia.
Quando entro in tribunale e ricordo che a solcare lo stesso pavimento, solo vent’anni addietro, c’era anche mio Nonno, mi sento più forte.
Non per le battaglie che perseguiva, ma per la passione che, sopita dentro ogni pagina che scriveva o leggeva, muoveva il suo studio, la sua curiosità, la sua voglia di risolvere il problema del suo cliente.
Nonno parlava poco, spesso era stanco e dormiva sulla poltrona del soggiorno, ma ci amava tutti. Profondamente.
Vent’anni fa sicuramente piansi, ero piccola e la figura di un nonno è qualcosa di prezioso per ogni bambino.
Oggi, vent’anni dopo, mi ritrovo a versare delle lacrime diverse, mi ritrovo a pensare a mio Nonno, seduta nel suo tempio sacro, mentre respiro l’aria che ha lasciato entrare e che gelosamente ha custodito qui dentro fino al suo ultimo respiro: penso a quanto sia importante amare la vita, amare il proprio mestiere, sentire entrambi come una missione.
E anche la morte, in questo modo, può apparire più leggera.
Ciao Nonno, io non so se ti ricordi di com’ero o se immaginavi chi sarei diventata; ma oggi sono qui, percorro la strada che mi hai lasciato; ci sono degli ostacoli, ma sto imparando a superarli. Ti penso, anche se lo do poco a vedere. E ti sorrido ogni volta che entro in studio e vedo la tua immagine all’ingresso. Poi, quando leggo il tuo nome sui fascicoli più vecchi il cuore mi diventa gonfio gonfio.
Sono convinta che Tu da Lassù mi stia osservando, anche adesso mentre scrivo, in silenzio come eri solito fare. Però oggi, in questa giornata di inizio novembre, fatti sentire: regalami la tua risata.
Aprirò bene le orecchie, perché voglio sentirne l’eco fino al cuore.
Grazie della tua eredità.
Sarà mia cura – nostra cura, mia e dei miei fratelli e dei miei cugini – preservarla.
Ciao nonno, Ti abbraccio da lontano.
Tua Nipote – e oggi lo scrivo come se lo urlassi a squarciagola – Martina VETERE.
Martina Vetere