#WeeklyUpdates | 1º dicembre 1970: i primi cinquant’anni della Legge sul Divorzio
Il divorzio (dal latino divortium, da di-vertere, “separarsi”) o scioglimento del matrimonio è un istituto giuridico che decreta la fine del matrimonio e la cessazione dei suoi effetti civili, quando tra i coniugi è cessata la comunione materiale e spirituale di vita.
Si parla di “scioglimento” quando a cessare è un matrimonio contratto con il rito civile, invece si parla di “cessazione degli effetti civili” qualora si tratti di matrimonio contratto con il rito concordatario.
Il divorzio si differenzia dalla separazione perché in quest’ultimo istituto giuridico non si pone fine definitivamente al rapporto matrimoniale, ma se ne sospendono gli effetti nell’attesa di una possibile riconciliazione o di un provvedimento definitivo di divorzio.
Proprio oggi ricorre il cinquantennale della sua ufficiale regolamentazione: il divorzio, infatti, venne introdotto a livello legale in Italia il 1º dicembre 1970 – nonostante l’opposizione della Democrazia Cristiana – con la Legge 1º dicembre 1970 n. 898 denominata “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio” ed entrata in vigore il 03 dicembre 1970.
“Per quanto siano forti i sentimenti che uniscono un uomo e una donna, essi possono anche mutare“, disse Nilde Iotti prendendo la parola in Parlamento il 25 novembre del 1969, quando l’iter legislativo era ormai alle ultime battute, durante un discorso diventato poi famoso nella storia dei diritti delle donne.
Tuttavia, l’iter che ha portato alla suddetta approvazione è stato decisamente tormentato.
Fin dall’Unità d’Italia le iniziative per inserire nell’ordinamento italiano il divorzio, almeno dieci, vennero bocciate soprattutto a causa dell’influenza delle gerarchie della Chiesa cattolica.
Nel 1902 il Governo Zanardelli elaborò una proposta che però non venne mai approvata. Poi ci furono la guerra, il fascismo, i Patti Lateranensi e passarono più di trent’anni prima che una legge sul divorzio venisse rimessa in discussione. L’Italia rimaneva uno dei pochi paesi europei in cui vigeva l’indissolubilità del matrimonio (se non per morte). Era previsto, esclusivamente, l’istituto giuridico della separazione legale: un giudice poteva cioè riconoscere che due persone non potessero più continuare a vivere insieme, ma quelle stesse persone dovevano rimanere legate dall’obbligo della fedeltà e dell’assistenza reciproca.
La Storia
Il lungo iter parlamentare sul divorzio iniziò quando il deputato socialista Loris Fortuna presentò nell’ottobre del 1965 un progetto di legge sui “Casi di scioglimento del matrimonio”. Lo scontro fu da subito molto violento, tra uno schieramento laico che appoggiava il progetto Fortuna e i deputati cattolici che arrivarono a denunciarne il “contenuto rivoluzionario”.
Nel 1970, dopo la prima approvazione alla Camera (ci vollero 33 sedute e gli interventi di 133 deputati), la discussione passò al Senato che votò il 09 ottobre dello stesso anno. Il testo emendato tornò alla Camera che il 1° dicembre del 1970 lo approvò in via definitiva (con 319 sì e 286 no, su 605 votanti e presenti), entrando ufficialmente in vigore il 03 dicembre 1970 nei suoi 12 articoli, come Legge 1° dicembre 1970 n. 898.
In particolare si richiedeva al Giudice di accertare l’assenza assoluta e non ripristinabile della “comunione materiale e spirituale tra i coniugi” così come l’impossibilità di conciliazione tra i soggetti, fermo restando il prestare il più possibile l’attenzione ai figli ed ai loro bisogni di crescita e di educazione.
Dopo tale premessa, la richiesta di scioglimento di matrimonio poteva essere approvata nei seguenti casi:
- dopo 5 anni dalla sentenza di separazione giudiziale;
- dopo 7 anni dalla stessa sentenza, in caso di opposizione per “colpa esclusiva”;
- dopo 6 anni dalla sentenza, in caso di opposizione semplice.
Inoltre, vennero prese in considerazione anche cause estreme di scioglimento di matrimonio, collegate alla commissione di reati sia nei confronti del coniuge e dei figli, sia verso altri soggetti; nei casi di non consumazione del matrimonio o nel caso in cui fosse stato ottenuto lo scioglimento o l’annullamento del matrimonio all’estero, se uno dei due coniugi fosse straniero.
Un dato degno di nota è che i divorzi nel primo anno di applicazione della legge furono 17.134, l’anno dopo 31.717!
Già nel 1974 si tenne il primo referendum abrogativo della legge, promosso dalla Democrazia Cristiana di Amintore Fanfani; tuttavia prevalse il “NO” ed Enrico Berlinguer parlò di “…grande vittoria della libertà, della ragione e del diritto, una vittoria dell’Italia che è cambiata e che vuole e può andare avanti…”.
La legge del 1970 venne modificata nel 1978 e nel 1987 quando – grazie all’allora presidente della Camera Nilde Iotti che riuscì a ottenere l’accordo unanime di tutti i gruppi – si ridussero da cinque a tre anni i tempi necessari per arrivare alla sentenza definitiva. Nel 2015 è stato approvato un disegno di legge che introduce il cosiddetto divorzio breve, che riduce il periodo tra separazione e divorzio ed anticipa lo scioglimento della comunione dei beni.
La Legge sul divorzio è stata considerata una delle più grandi conquiste sociali del secolo scorso, vista come presa di coscienza dell’inevitabile cambiamento della realtà socio-culturale italiana.
Dal punto di vista storico, l’Italia si trovava in una fase estremamente delicata: era da poco uscita dalla Seconda Guerra Mondiale, diventata una Repubblica, conosciuto una grave crisi economica per essere poi coinvolta nel grande boom economico, senza dimenticare che il tessuto sociale vedeva nascere i primi moti studenteschi e reclamava una maggiore considerazione della donna e dei suoi diritti fondamentali, troppo spesso e per lungo tempo considerata come una esclusiva “proprietà” del marito, costretta a subirne le scelte e le decisioni e senza possibilità di autodeterminarsi nel contesto lavorativo e sociale.
La famiglia italiana di quel periodo è sicuramente l’indicatore più attendibile di una società in piena trasformazione, che vede il passaggio da un’economia di guerra alla crescita impetuosa del boom economico, quando il nostro Paese da prevalentemente agricolo diventa una delle maggiori potenze industriali.
La Legge sul divorzio venne approvata durante la V Legislatura del Governo Colombo – esponente del partito della Democrazia Cristiana e partito protagonista dell’accanita opposizione contro il movimento divorzista – ed iniziò quindi l’opera di smantellamento dello status quo della società italiana.
Ovviamente, tale Legge non fu acclamata da tutti: la Democrazia Cristiana e il Movimento Sociale Italiano, infatti, la additarono come il primo passo verso la dissoluzione inarrestabile dei costumi dello Stato, ammonendo sulla sua inevitabile capacità distruttiva di tutte le famiglie e della società italiana. Infatti, come già detto, Amintore Fanfani della Democrazia Cristiana e Giorgio Almirante del Movimento Sociale Italiano promossero un Comitato per l’Abrogazione della Legge sul divorzio tramite referendum.
La vittoria del No fu un segno di grande coraggio, il diritto di sciogliere il matrimonio mostrava un repentino e radicale mutamento della mentalità e dei costumi, con un forte impatto su tutte le forme di unione.
Può sicuramente risultare sorprendente, a distanza di tanti anni, questo scontro per i diritti civili e per una conquista culturale importante, ma in quel periodo fu davvero combattuta una battaglia durissima: innanzitutto a livello politico ma sicuramente anche a livello sociale, perché la Democrazia Cristiana e gli ambienti cattolici più restii ad un accordo con i comunisti videro nel referendum un’occasione di rivincita, spalleggiati dalla presenza della Chiesa cattolica, fermissima nell’idea del vincolo sacro ed indissolubile del matrimonio.
Aspetti giuridici
Venendo agli aspetti attuali e prettamente giuridici, anche nel procedimento di divorzio si possono seguire due percorsi alternativi, a seconda che vi sia o meno un consenso tra i coniugi:
- divorzio congiunto, quando c’è un accordo dei coniugi su tutte le condizioni da adottare (ed in questo caso il ricorso è presentato congiuntamente da entrambe le parti);
- divorzio giudiziale, quando manca tale accordo (ed in questo caso il ricorso può essere presentato anche da una sola parte).
Il divorzio è disciplinato all’art. 149 c.c. e le cause che permettono ai coniugi di divorziare, come già detto, sono tassativamente elencate nell’art. 3 della Legge 1970/898, riguardando principalmente ipotesi in cui uno dei coniugi abbia attentato alla vita o alla salute dell’altro coniuge o della prole oppure abbia compiuto specifici reati contrari alla morale della famiglia.
La causa principale che conduce al divorzio è oggi la separazione legale dei coniugi protratta ininterrottamente per un periodo di tempo, ridotto a 6 mesi e che diventano 12 se la separazione è giudiziale. Il termine decorre dalla prima udienza di comparizione dei coniugi innanzi al tribunale nella procedura di separazione personale. Per la decorrenza del termine non vale il tempo che i coniugi hanno trascorso in separazione di fatto, senza cioè richiedere un provvedimento di omologa al Tribunale.
Con il divorzio viene meno lo status di coniuge e si possono contrarre nuove nozze, altresì la donna perde il cognome del marito.
A seguito di divorzio, vengono meno anche i diritti e gli obblighi discendenti dal matrimonio (disciplinati dagli artt. 51, 143, 149 c.c.), cessa la destinazione del fondo patrimoniale (art. 171 c.c.) e viene meno la partecipazione dell’ex coniuge all’impresa familiare (art. 230 bis c.c.).
Concludendo, si può affermare che il riconoscimento legale della possibilità di uscire dal vincolo matrimoniale ha gettato le basi per una società sicuramente più “laica” ma soprattutto più attenta ai diritti civili e sociali, ha aperto l’orizzonte a nuovi diritti delle persone e di tanti nuclei familiari, dove magari regnano violenze fisiche e/o vessazioni morali e il divorzio è l’unica via d’uscita per riprendere in mano la propria vita e la propria dignità.
Sicuramente c’è sempre da sperare nel “finché morte non ci separi”, ma oggi il diritto di scelta sancisce a piena voce la verità della coscienza umana e soprattutto dei sentimenti autentici, rifiutando l’ipocrisia e la gabbia dorata del “quieto vivere”, travalicando reticenze e pregiudizi soprattutto nei confronti della donna, da sempre considerata “il sesso debole”.
Avv. Isabella Saponieri