#WeeklyUpdates| Pentimenti al patibolo: Sarah come Lisa Montgomery
Las Vegas, settembre 1987
Come ogni mattina mi reco a lavoro, cuffie nelle orecchie con la mia canzone preferita, la strada di sempre davanti a me: oggi sono più scossa del solito.
È stata una nottata difficile, l’ennesimo litigio con mio marito.
Siamo sposati da circa quattro anni, ma è un inferno per me. Appena poco dopo il matrimonio, ecco arrivare le prime crisi e le prime incomprensioni, e poi ancora altre, in un lungo e continuo turbinio di emozioni e sofferenza. Sono arrivata ad un punto di non ritorno, aggravato dalla perdita del suo lavoro e dal suo “piccolo vizietto”, come lo chiama lui: bere come una spugna! Non è un bel vedere.
La mia vita è diventata insostenibile e non so ancora quanto resisterò accanto a lui.
È già sera, è ora di ritornare nel mio inferno di cristallo.
Parcheggio sul vialetto, quattro passi e sono dentro; lo vedo, sembra essere nervoso, si avvicina, troppo in fretta…poi buio.
San Quintino, luglio 1993
Nella mia cella di due metri per tre, non solo si sta stretti ma i pensieri e i ricordi ti schiacciano come macigni.
Sono in carcere da circa sei anni.
Omicidio.
L’ho ammazzato, quella sera al ritorno da lavoro.
Ero stanca. Stanca di soprusi, percosse continue e di una vita di miseria e fatica.
Otto coltellate, dissero così al processo, mentre io non ricordo molto bene l’accaduto o forse non voglio farlo. Quello che invece mi risuona ancora come un eco nelle orecchie è la parola “guilty”e “death penalty”.
Mi hanno dato la pena di morte, di un crimine efferato e probabilmente premeditato o solamente accidentale, chi può saperlo a questo punto? Nemmeno io.
Le giornate sono tutte uguali, scandite da un solo è unico pensiero “quando verranno a prendermi? “. Vivere con la consapevolezza di essere un cadavere che cammina non è allettante, ma è l’unica cosa certa che mi è rimasta.
Ai sensi di colpa, alla rabbia e alla tristezza, si aggiunge il costante pensiero di cosa possa pensare il resto del mondo.
Sí, perché l’opinione comune in questi casi è solo una: “meriti di morire perché hai giocato a fare Dio, hai tolto la vita ad un altro essere umano e quindi a te verrà fatto lo stesso”; non fa una piega il ragionamento.
Finché non succede a te!
Vieni investita da emozioni contrastanti, dal sapore di panico, paura, tristezza e vuoto, associati a liberazione e consapevolezza.
Un’esistenza di soprusi fisici e mentali non solo ledono il tuo fisico ma lacerano completamente l’anima.
Quando sei morta dentro non ha più senso nulla e l’unica cosa che vuoi è liberarti di tutto il dolore, le ansie, le angosce. È come una maledizione da cui non riesci a liberarti, un cancro che ti distrugge dall’interno e si nutre della parte buona di te, un cataclisma che spazza via tutto quello che di buono è rimasto. Io ho fatto proprio così, ho eliminato alla radice il mio malessere.
Nel modo peggiore e infido che ci sia, ma l’ho fatto. E, contro ogni aspettativa, mi sono sentita libera.
Mi vergogno a dirlo, ma è così. La libertà ha sempre un prezzo alto da pagare, ma io sono stata disposta a pagarlo. Sono stata coraggiosa, per certi versi. E sono fiera di me.
Lui era un cancro, e io l’ho estirpato come si fa con le erbacce quando ripulisci il giardino.
Vi aspettavate una confessione strappalacrime con richieste di perdono o pentimenti? No. Non farò di me la moglie affranta dichiarata mentalmente inferma per dare una ragione plausibile a quello che è successo.
Ho sopportato tanto nella vita, non mi importa del giudizio altrui, perché non sarà mai sincero o compassionevole. Accetto la mia sorte, semplicemente.
Cammino lentamente, sguardo basso. Sotto di me solo un pavimento verde, e i miei piedi. L’ultima camminata prima di sedermi, per sempre. Il mio Miglio verde. Non voglio il perdono. Mi basta il mio.
Sarah
Ad oggi, circa 141 paesi hanno abolito la pena di morte nella legge o nella pratica; 57 paesi mantengono in vigore la pena capitale, ma quelli che eseguono condanne a morte sono assai di meno: il progresso vero nel campo della giustizia non lo si misura sulla base della punizione inflitta ai colpevoli, ma sulle capacità che gli uomini hanno di non ricreare quelle condizioni che facilitano il crimine. Ecco il principio della rieducazione, che ai sensi dell’articolo 27 della Costituzione italiana prevede espressamente che “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Il 10 Ottobre di ogni anno si celebra la “Giornata mondiale contro la pena di morte”, un momento importante in cui tutto il movimento abolizionista riflette sui successi ottenuti e sui passi ancora da compiere.
Ancora oggi, tuttavia, esistono stati in cui è possibile infliggere la pena di morte.
Gli Stati Uniti, infatti, stanno per giustiziare una donna: è la prima volta dopo 70 anni.
Lisa Montgomery, accusata di aver ucciso una donna incinta e averle aperto il ventre per portarle via il feto, morirà. L’esecuzione era stata sospesa e ora è stata confermata per il prossimo 12 gennaio.
Le esecuzioni federali erano sospese da quasi 17 anni.
L’anno scorso il presidente Trump ne ha ordinato la ripresa.
Tania De Bonis