#WeeklyUpdates | Esenzioni IMU e residenza dei coniugi
Il 1º marzo 2021 è fissata la scadenza per il pagamento del conguaglio IMU per l’anno 2020; come noto, non tutti i proprietari di un immobile sono tenuti ad adempiervi. Infatti, la normativa generale sull’Imu, infatti, prevede che l’imposta è dovuta in caso di possesso di immobili di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, ivi comprese l’abitazione principale delle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 e le pertinenze della stessa.
Tuttavia, dal 2014 sono esenti dal versamento dell’IMU i proprietari delle abitazioni principali delle categorie catastali A/2, A/3, A/4, A/5, A/6, A/7.
Dalla Legge di stabilità 2016, poi, l’esenzione per l’abitazione principale è stata estesa alla TASI, applicandosi anche alla quota dovuta dall’inquilino nel caso in cui l’immobile locato sia abitazione principale dello stesso.
Cosa si intende per abitazione principale?
Per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente.Esenzione IMU
In ordine all’applicabilità dell’esenzione IMU prevista per i proprietari di prime case, di recente la Cassazione ha precisato che nei casi in cui il soggetto passivo ICI sia coniugato, “…..ai fini della spettanza delle detrazioni e riduzioni d’imposta previste per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale, non è sufficiente che il coniuge abbia trasferito la residenza nel Comune nel quale l’immobile è situato, essendo altresì richiesto che nello stesso immobile si realizzi la coabitazione dei coniugi……”.
Ciò è quanto sostenuto dalla Cassazione civile, Sez. V, ordinanza 15 dicembre 2020, n. 28534, pronunciata in accoglimento del ricorso promosso dal concessionario per la riscossione contro la decisione con cui la CTR aveva annullato un avviso di accertamento notificato ad un contribuente.
La pronuncia della Cassazione civile, Sez. V, ordinanza 15 dicembre 2020, n. 28534
La pretesa tributaria si fondava sul fatto che, nel periodo d’imposta considerato, il contribuente (nel caso di specie una donna) e il marito risiedevano in comuni diversi e che, pertanto, il nucleo familiare non dimorava contemporaneamente nell’abitazione per la quale era richiesta l’esenzione di cui in premessa.
I giudici della Commissione Regionale adita, tuttavia, accolsero le ragioni della contribuente poiché non poteva ritenersi che la dimora abituale della famiglia fosse quella ricollegabile alle risultanze anagrafiche del marito ovvero della moglie: era, invece, onere dell’Amministrazione finanziaria creditrice dimostrare che la contribuente aveva già beneficiato dell’agevolazione prevista per la prima casa con riguardo all’abitazione di residenza del coniuge.
Pertanto, ADER ha proposto ricorso per Cassazione ritenendo illegittimo che, nel caso di specie, il dirotto della contribuente all’esenzione Ici per l’abitazione principale.
I Giudici di Piazza Cavour, ritenendo fondata la questione e accogliendo la doglianza de qua, hanno riformato la sentenza sulla base dell’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cfr. Cass. sent. nn. 25902/2008, 25731/2009 e 12269/2010), secondo cui nelle ipotesi in cui il soggetto passivo dell’Ici sia coniugato, ai fini della spettanza delle detrazioni e riduzioni dell’imposta previste per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo, non basta che il coniuge abbia trasferito la propria residenza nel comune in cui l’immobile è situato ma occorre che in tale immobile si realizzi la coabitazione dei coniugi. Ed, invero, sebbene l’art. 144 c.c. preveda che i coniugi possano avere esigenze diverse ai fini della residenza individuale e fissare altrove quella della famiglia, per beneficiare delle agevolazioni è la residenza della famiglia e non quella dei singoli coniugi ad assumere rilevanza.
Il Ministero dell’Economia, però, nella circolare 18 maggio 2012, n. 3/, ha affermato che se i componenti dello stesso nucleo hanno invece stabilito la residenza e la dimora abituale in due abitazioni che si trovano in due Comuni diversi, è possibile considerale entrambe come abitazioni principali “poiché in tale ipotesi il rischio di elusione della norma è bilanciato da effettive necessità di dover trasferire la residenza anagrafica e la dimora abituale in un altro Comune, ad esempio, per esigenze lavorative”.
In virtù del dictum ministeriale, dunque, ognuno dei due coniugi è tenuto a corrispondere l’Imu e la Tasi solo limitatamente alla quota di possesso del 50% dell’abitazione diversa da quella in cui si ha la propria residenza.
Come visto, però, tale interpretazione è contrastata dalla giurisprudenza: attendiamo, pertanto, ulteriori e futuri chiarimenti dalle Sezioni Unite.
Dott.ssa Martina Vetere