#WeeklyUpdates | Pillole Processual-Penalistiche: le dichiarazioni spontanee
Il codice di procedura penale, nella sua articolazione sistematica e ben funzionale regola e disciplina in maniera esaustiva l’istituto delle dichiarazioni spontanee all’art. 350 co. 7° c.p.p..
L’articolo menzionato testualmente recita: “La polizia giudiziaria può altresì ricevere dichiarazioni spontanee dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, ma di esse non è consentita la utilizzazione nel dibattimento, salvo quanto previsto dall’articolo 503 comma 3”.
Ebbene, dalla lettura della norma ci si rende conto che questo tipo di attività, svolta dalla polizia giudiziaria, è tipica nella fase preliminare dell’instaurando procedimento caratterizzata, come è noto, da una preminente direzione di tutto l’iter in capo al Pm procedente.
Invero l’indagato (e non imputato – qualifica quest’ultima che assumerà soltanto dopo un eventuale rinvio a giudizio), nel corso di questa fase non ha molto spazio di azione, almeno fino a quando non riceve effettivamente comunicazioni efferenti le plausibili contestazioni da muovere nei suoi confronti.
Pertanto, anche la Polizia Giudiziaria svolge un ruolo fondamentale nella fase preliminare delle indagini in quanto, appunto, nel coadiuvare il P.M. pone in essere tutta una serie di attività di ricerca e reperimento di elementi utili ai fini della ricostruzione dei fatti e volte all’individuazione del presunto autore della fattispecie di reato.
Nello svolgimento di tale compito, quindi, la P.G. compie un’attività di tipo formale, consistente in atti specificamente regolati dalla legge.
Fra questi spiccano di particolare interesse, a parere di chi scrive, l’assunzione sommaria di informazione da parte dell’indagato e la ricezione di dichiarazioni spontanee da parte dello stesso indagato:
– con la prima gli ufficiali e/o gli agenti di P.G. hanno un primo contatto con la persona sottoposta ad indagini acquisendo dalla stessa tutte le possibili informazioni, le quali assumono solo rilievo investigativo ed assolutamente non probatorio, ed infatti le stesse non potranno mai essere preordinate a costituire prova;
– nel caso, invece, di spontanee dichiarazioni è lo stesso indagato che si offre di riferire alla polizia procedente fatti e circostanze, oltre all’indicazione anche di eventuali persone e luoghi, che possano avere attinenza in ordine alle contestazioni che gli vengono mosse.
Le dichiarazioni in questione altro non sono che espressione del diritto di difesa riconosciuto alla persona indagata della commissione di un delitto dalla Costituzione, in ogni grado e stato del processo.
Il carattere squisitamente “spontaneo” delle informazioni rese dall’indagato è determinato dalla circostanza che le stesse non sono il risultato di domande sollecitate e provenienti dalla P.G. poste nell’esclusivo esercizio delle funzioni sue proprie né, tantomeno, precedute da altrettanti “contestazioni” e, pertanto, vista questa loro particolare peculiarità, non costituiscono riposte a domande degli inquirenti.
Oramai è consolidata in giurisprudenza la prassi di ritenere pienamente utilizzabili le dichiarazioni spontanee rese nella fase delle indagini preliminari ai fini dell’adozione di provvedimenti cautelari e/o dell’autorizzazione all’intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche oltre che nel giudizio abbreviato (Cfr. Suprema Corte di Cassazione, III Sezione, con la sentenza N.25044 del 21/07/2020).
Ma il loro utilizzo resta sempre subordinato alla circostanza che risulti, con assoluta chiarezza, che l’indagato ha scelto di rendere le sue dichiarazioni in maniera del tutto libera e scevro da condizionamenti altrui.
A tal riguardo giova ricorda “……… Le dichiarazioni spontanee, anche se rese in assenza del difensore e senza l’avviso di poter esercitare il diritto al silenzio, sono utilizzabili nella fase procedimentale, nella misura in cui emerga con chiarezza che l’indagato abbia scelto di renderle liberamente, senza alcuna coercizione o sollecitazione. Si tratta di dichiarazioni che hanno un perimetro di utilizzabilità circoscritto alla fase procedimentale e dunque all’incidente cautelare, ed ai riti a prova contrata, ma che non hanno alcuna efficacia probatoria in dibattimento……..” (Cfr. Suprema Corte di Cassazione, sentenza N. 14320/20018).
Ed, infatti, al fine di tutelare la sua posizione, anche ai fini documentativi degli atti di indagine, è necessario che tutte le sue dichiarazioni siano riportate nel verbale, appositamente redatto dalla Polizia Giudiziaria ed al termine sottoscritto dallo stesso indagato.
Il verbale così redatto e sottoscritto verrà quindi trasmesso senza ritardo al Pubblico Ministero e conservato nel fascicolo delle indagini, del quale ne farà parte integrante (non trasla, invece, nel fascicolo del dibattimento, eccetto i casi di sopravvenuta irripetibilità per morte o infermità mentale dell’indagato: solo in queste ipotesi ne è consentita la lettura, ex art. 512 c.p.p.).
Ad ogni modo, l’area della sua rilevanza ai fini procedurali resta sempre circoscritta.
La particolarità della disciplina delle dichiarazioni spontanee attiene quindi alla loro specifica utilizzabilità: questa, infatti, è limitata ai soli fini della contestazione nel dibattimento ai sensi dell’art. 503 comma 3 e 4, essendo espressione del principio della difesa personale.
La speciale incidenza del loro “utilizzo”, vista anche la provenienza unilaterale delle stesse (quindi riguardante la rappresentazione dei fatti prospettata da un soggetto che è, ad ogni modo, sottoposto ad indagini), inducono il legislatore, e sempre più spesso anche la giurisprudenza, a configurarle come mezzo, liberamente scelto, di “autodifesa”, sempre esperibile ex art. 24 comma 2 Cost..
Avv. Manuela Stumpo