#WeeklyUpdates | La sostituzione di persona ed il furto di identità in “rete”: social network e profili giuridici
- L’identità: bene giuridico tutelato anche “nell’era virtuale”
Il nostro sistema di diritto tutela da sempre l’identità come bene giuridico riconosciuto all’individuo nonché diritto alla protezione ed al riconoscimento dello stesso nella comunità.
Sappiamo che il nostro è un ordinamento dinamico capace di reagire alle evoluzioni ed adattarsi estendendo libertà e garanzie alle nuove situazioni.
Con l’avanzare della tecnologia si è posta la questione sulla configurabilità dell’utilizzo abusivo di un’immagine sul web come delitto e ciò ha inaugurato nuove frontiere in quanto è divenuto necessario fare i conti con nuove falsificazioni. Tutti infatti fruiamo di servizi quali i “social network” senza spesso interrogarci sulle ripercussioni che genera il loro utilizzo soprattutto in relazione all’applicazione delle norme di diritto.
L’ordinamento penale, quindi, persegue e punisce la falsità personale e la sostituzione di persona estendendo la disciplina sanzionatoria anche a quelle fattispecie criminose commesse tramite l’utilizzo di internet. .
Con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 24 ottobre 2014, anche conosciuto come Decreto SPID, l’Identità digitale è stata definita come “la rappresentazione informatica della corrispondenza biunivoca tra un utente e i suoi attributi identificativi, verificata attraverso l’insieme dei dati raccolti e registrati in forma digitale” , quindi come l’insieme di dati che permettono di autenticare e identificare l’utente.
- Il reato di sostituzione di persona ed il furto d’identità digitale
Il reato di sostituzione di persona è regolato dall’art. 494 c.p. secondo il quale “Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona , o attribuendo a sé o ad altri un falso nome , o un falso stato , ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino ad un anno”.
L’art. 494 c.p. prevede una forma di falsificazione che si concretizza nel sostituirsi in toto ad un’altra persona ed un’alternativa consistente nell’attribuirsi qualità non corrispondenti al vero e quindi un falso nome, un falso stato etc.
L’ipotesi di indebito utilizzo d’identità digitale è un’aggravante della frode informatica, contemplata assieme al furto d’identità al terzo comma dell’art. 640 ter c.p.: “la pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 600 a euro 3.000 se il fatto è commesso con furto o indebito utilizzo dell’identità digitale in danno di uno o più soggetti”.
- L’identità digitale: personalità dell’individuo sul web
Attualmente, il profilo digitale costituisce una proiezione di diritti della personalità ed una forma di rappresentazione della persona nella comunità virtuale. Pertanto, l’ordinamento giuridico riconosce il diritto del singolo a mantenere il controllo sulla rappresentazione che offre di sé alla società.
Si sviluppa quindi, in questo contesto, la problematica di tutela dell’identità digitale considerati come l’insieme di dati ed informazioni immessi sul web e riferibili ad uno specifico utente.
È chiaro, infatti, che ogni azione compiuta nella “realtà di internet” incide sul bene giuridico protetto dall’art. 494 c.p. e fornisce al sistema dei dati che consentono di ricostruire un profilo dell’utente rilevando la sua personalità, le sue preferenze ed opinioni personali, quindi la sua identità personale. Questa può essere violata anche solo mediante l’utilizzo dell’immagine di un’altra persona come foto del proprio profilo Facebook, ad esempio, in quanto, appunto, genera confusione sull’identità digitale dell’individuo e attesta delle caratteristiche non corrispondenti al vero.
I social network sono servizi della società dell’informazione in cui ogni utente crea degli spazi virtuali e delle reti sociali alle quali tutti possono accedere a prescindere dal numero di contatti, follower o cosiddetti “amici” mediante trasmissione di dati su richiesta individuale. Pertanto, le relazione virtuali hanno assunto la stessa portata di quelle reali, e devono essere considerate anche sul piano della loro rilevanza giuridica. Per la giurisprudenza basta a integrare il reato anche soltanto utilizzare per il proprio profilo Facebook la foto di un’altra persona realmente esistente. Non è ammesso infatti per l’utente di sostituirsi ad altre persone, sfruttando questa condizione di alterità per ingannare altri utenti della rete e/o procurarsi un vantaggio.
- Forme di violazione dell’identità digitale
Il furto o violazione d’identità connesso a comportamenti illeciti nell’utilizzo dei social media può integrarsi in diverse ipotesi.
Una delle principali è la creazione di “Profilo fake”. In questo caso la sostituzione digitale non è compiuta per ricavarne un vantaggio di tipo economico, ma è un’azione di falsità personale o morale che lede la manifestazione della personalità del singolo individuo.
Frequente è, inoltre, la configurazione della cosiddetta “Frode informatica” che si realizza quando si vuole alterare il funzionamento di un sistema informatico per accedere e carpire contenuti ed informazioni, danneggiare programmi o commettere raggiri.
Sempre dall’utilizzo inappropriato dei social network scaturiscono altri reati quali, ad esempio, il cyberbullismo, l’adescamento per fini pedopornografici, la clonazione di carte di credito, le truffe legate all’identità dell’acquirente nel momento in cui si effettuano degli acquisti on line e numerosi altri.
- La rilevanza ed il grado di offensività del reato commesso “nell’ambiente digitale”
L’abitudine di chi naviga in internet ad interfacciarsi con false identità ha ormai generato l’affievolire della percezione dell’offensività del fatto. Spesso, infatti, profili “fake” sono assolutamente innocui e potrebbero essere semplicemente un mezzo attraverso il quale un vicino di casa piuttosto che un amico o conoscente etc spia i nostri post, i nostri messaggi in bacheca in modo anonimo. Tuttavia, vi sono casi in cui questa prassi, apparentemente innocente, in realtà diviene fastidiosa se non preoccupante.
La consapevolezza di far parte di un ambiente, o meglio di una collettività, quella digitale e di essere pertanto titolari di una posizione anche giuridica è necessaria e fondamentale per prendere coscienza della gravità di alcune condotte.
Senza dubbio, infatti, si andrebbe a ledere l’identità della persona di cui creando un profilo falso vengono utilizzate le foto e/o dati personali e si configurerebbe quindi il reato di sostituzione di persona.
Anche l’utilizzo abusivo dell’immagine di una persona “del tutto inconsapevole, associata ad un nickname di fantasia ed a caratteristiche personali negative” come stabilito dalla Suprema Corte integra il delitto di sostituzione di persona (Cass. pen. N. 25774/2014).
- Responsabilità dei provider
I falsi profili possono essere segnalati tramite i canali interni ad ogni social che “garantisce” di prendere in considerazione ogni reclamo.
Infatti, ad oggi non esiste una responsabilità penale diretta del provider per gli illeciti commessi dai suoi utenti. Tuttavia, nel momento in cui l’Internet Service Provider è portato a conoscenza dell’esistenza di contenuti illeciti e non interviene per la sua rimozione, l’art. 17, D.Lgs. n. 70/2003 prevede espressamente che sullo stesso incombe l’obbligo di informarne l’autorità giudiziaria.
Gli stessi social network nelle condizioni di utilizzo che fanno sottoscrivere agli utenti, avvisano del divieto di usare false identità.
Nelle condizioni di Facebook, ad esempio, si legge che: “Gli utenti di Facebook forniscono il proprio nome e le proprie informazioni reali, e invitiamo tutti a fare lo stesso. Per quanto riguarda la registrazione e al fine di garantire la sicurezza del proprio account, l’utente si impegna a fare quanto segue: Non fornire informazioni personali false su Facebook o creare un account per conto di un’altra persona senza autorizzazione. Non creare più di un account personale. Non creare un altro account senza la nostra autorizzazione, se l’account originale viene disabilitato”.
Esiste poi il problema relativo ai rapporti tra norme di diversi Paesi poichè è necessaria la collaborazione del social network per giungere all’ identificazione dell’utente che si muove sotto falso nome e, quindi, occorrerà procedere con una rogatoria, e questa è possibile solo nel caso in cui il fatto sia reato sia nello Stato del richiedente che del richiesto.
Occorrerebbe pertanto uno sforzo transnazionale per risolvere un problema che sta diventando un’emergenza sociale, anche per le conseguenze non prevedibili che un’avvenuta sostituzione di persona può innescare. Tuttavia manca la reale volontà internazionale di trovare delle soluzioni condivise a livello mondiale ed occorre in primis rendere comprensibili a tutti gli utenti della rete i propri diritti e doveri.
- La Corte di Cassazione sulla configurazione del reato di sostituzione di persona tramite utilizzo dei social network
L’immagine di un soggetto deve essere considerata sicuramente come “dato personale” e pertanto il titolare del trattamento dei dati ha l’obbligo di informare preventivamente l’interessato che il suo dato (immagine fotografica) potrà formare oggetto di trattamento così come previsto dall’art.4 della Legge 196/2003 sulla tutela della privacy.
Il divieto è anche stabilito dalla Legge sulla protezione del diritto d’autore che all’art.96 afferma: “Il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa”.
Il diritto all’immagine è, altresì, tutelato dal codice civile che all’art. 10 così detta: “Qualora l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta,o pubblicata fuori dai casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria, su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni”.
Con sentenza n. 22049/2020 del 6 luglio 2020 la Corte di Cassazione si è espressa su un argomento ormai sempre più dibattuto, ritenendo integrato il reato di sostituzione di persona nella creazione di un falso profilo Facebook. L’utilizzo fraudolento dei social media genera azioni indebite e comprende tutte quelle condotte ingannatorie che si palesano attraverso l’utilizzo di nickname o falsi profili. La Corte di cassazione ha stabilito con la pronuncia in esame che la condotta di colui che crea ed utilizza un “profilo” su social network, utilizzando abusivamente l’immagine di una persona del tutto inconsapevole, integra il delitto di sostituzione di persona.
- Conclusioni.
L’utilizzo oggi sempre più massivo di strumenti di comunicazione digitale ha determinato un’esigenza di veridicità delle informazioni. La falsità di un profilo social è infatti un elemento rilevante e va notato come anche la norma più risalente in ordine temporale – l’art. 494 c.p. – sia stata letta tenendo conto di condotte attualissime.
Nell’applicazione del diritto, quindi, bisognerebbe tener conto che il fatto di reato presenta in questi casi una consumazione protratta che si estende oltre il momento del perfezionamento dell’azione di reato fino a giungere al momento dell’esaurimento sostanziale e che l’estensione avviene anche nello spazio detto “Cyberspace”.
L’esigenza è quella di delineare una differente dogmatica che tenga conto delle caratteristiche diverse che contraddistinguono il reato commesso con mezzi tecnologici e, nello specifico, tramite l’utilizzo di social network.
Il fine perseguito è appunto quello di punire condotte che, se non prese in considerazione, potrebbero essere sottovalutate e a lungo andare costituire una errata abitudine.
Dott.ssa Marilena Forte