#WeeklyUpdates | Configurabilità e requisiti della Gestione di Affari Altrui
L’ordinamento interno prevede, all’interno del Libro Quarto, al Titolo Sesto, l’istituto della gestione di affari altrui.
Tale istituto giuridico, detto anche negotiorum gestio, si pone come una delle fonti di obbligazioni previste all’art. 1173 c.c. rientrante in quegli atti o fatti idonei a produrre obbligazioni in conformità all’ordinamento giuridico.
I riferimenti normativi relativi alla suddetta disciplina sono rinvenibili all’art. 2028 c.c. e ss. e constano di quattro disposizioni.
All’art. 2028 c.c. il legislatore, infatti, sintetizza il predetto istituto come “chi, senza esservi obbligato, assume la gestione di un affare altrui, è tenuto a continuarla e a condurla a termine finché l’interessato non sia in grado di provvedervi da se stesso”.
In altre parole la gestione d’affari nasce da un facere del gestore (c.d. gestor) che si esplica nel compimento di atti giuridici o materiali utili all’interessato (c.d. dominus).
L’istituto della negotiorum gestio, così come previsto e disciplinato dagli artt. 2028 c.c. e ss., postula uno svolgimento di attività, da parte del gestore, diretta al conseguimento dell’esclusivo interesse dell’altro soggetto, ovvero il dominus.
I presupposti sono: a) la mancanza di prohibitio domini; b) l’absentia domini; c) l’utiliter domini; d) la capacità di agire, nonché l’animus aliena negotia gerendi ed infine la liceità dell’affare gestito.
Si cercherà, in questa sede, di definire meglio il contenuto degli elementi di questa fattispecie, anche alla luce della giurisprudenza più recente.
Il presupposto di cui alla lettera a) indica che l’ordinamento ritiene valido l’atto gestorio se posto in essere in assenza di un divieto alla gestione da parte del dominus: se costui, infatti, vi è costretto da un obbligo legale e/o da un contratto che intercorre con il dominus, allora siamo fuori dall’ambito applicativo della negotiorum gestio.
È discusso, tuttavia, se la presenza di un dovere morale o sociale sia compatibile con la gestione di affari.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla dottrina tradizionale, sul punto la giurisprudenza prevalente è però di contraria opinione, in quanto per aversi un comportamento spontaneo occorre che non vi siano obblighi in senso tecnico-giuridico; e quando si adempie in virtù di un obbligo morale non si può certo parlare di costrizione (V. in giurisprudenza Cass. 12280/2007 e 9269/2007).
Ne rileva, quindi, ai fini dell’efficacia dell’obbligazione la spontaneità dell’intervento del gestore.
Ed infatti: “L’elemento caratterizzante la gestione d’affari (art. 2028, c.c.) è costituito dal compimento di atti giuridici, […] in assenza di ogni rapporto contrattuale con l’interessato; pertanto la negotiorium gestio non è configurabile, qualora l’asserito gestore abbia adempiuto la prestazione in esecuzione di un contratto […]”(Cass. civ. n. 18626/2003).
La absentia domini è inteso come l’impedimento dell’interessato, ovvero il dominus, a provvedere ai propri interessi o quanto meno la sua non opposizione all’ingerenza del gestor.
Secondo la dottrina prevalente e secondo la giurisprudenza si verifica tale presupposto ogni volta in cui l’interessato non possa provvedere in maniera efficiente ad amministrare i propri affari: si annoverano, quindi, l’incapacità legale del soggetto, l’irreperibilità momentanea o la reclusione dell’interessato.
In altri casi la giurisprudenza si è spinta, invece, fino al punto da affermare che basti la semplice non opposizione dell’interessato al compimento dell’affare da parte del gestore, indipendentemente dall’impossibilità effettiva di amministrare.
Ed infatti, tale orientamento, sul punto, ha statuito che “la absentia domini deve intendersi non come impossibilità oggettiva e soggettiva di curare i propri interessi, ma come semplice mancanza di un rapporto giuridico in forza del quale il gestore sia tenuto ad intervenire nella sfera giuridica altrui” (V. ex multis Cass. N. 12304/11).
Un altro elemento caratterizzante la gestione di affari è l’utilità della gestione (c.d. utiliter coeptum), la quale sussiste quando, al momento dell’assunzione, la gestione si presentava vantaggiosa per l’interessato.
In altre parole, non occorre che l’affare vada a buon fine purché, al momento in cui fu iniziato, questo sembrasse utile ed opportuno.
In particolare in dottrina si continua a discutere se l’utilità iniziale della gestione debba essere valutata in base ad un criterio oggettivo, o piuttosto tenendo conto dei particolari interessi ed aspirazioni del dominus.
Col tempo è stata la giurisprudenza ad aver giustamente risolto la questione attribuendo prevalenza alla concezione oggettiva: ed infatti, in questa prospettiva potrebbe ravvisarsi l’utilità iniziale della gestione ogniqualvolta “sia stata esplicata un’attività che, producendo un incremento patrimoniale o risolvendosi in un’evitata perdita economica, sarebbe stata esercitata dallo stesso dominus quale buon padre di famiglia, se avesse dovuto provvedere efficacemente da sé alla gestione dell’affare” (Cfr. Cass. N. 12280/07).
Circa il requisito di cui alla lettera d., il legislatore dedica una norma apposita all’art. 2029 c.c. ove si presuppone la capacità di contrattare.
La legge parla di capacità di contrattare, ma l’espressione viene intesa da alcuni nel senso della capacità di agire.
La ratio di questa norma è facilmente intuibile; si vuole infatti evitare che l’incapace soggiaccia alle normali obbligazioni che sorgono a carico del gestore.
Sull’animus aliena negotia gerendi occorre soffermarsi maggiormente: si traduce come la consapevolezza del gestore di curare un interesse altrui.
Al fine di evitare incertezze interpretative, il codice vigente ha comunque utilizzato l’espressione “assume scientemente la gestione”(art. 2028 c.c.), la quale non lascia dubbi circa la necessità dell’animus gerendi ai fini dell’istituto d’istituto de quo (V. l’orientamento consolidato Cass., N.2512/1973).
Spesso si cade nell’errore di considerare l’ipotesi di gestione affari altrui con quella di arricchimento senza causa.
La linea di distinzione tra gestione d’affari altrui ed arricchimento senza causa è senza dubbio molto sottile dato che il medesimo comportamento materiale può indifferentemente integrare sia gli estremi dell’uso che dell’altro istituto: l’unico elemento di discrimine è a seconda che il gestore sia intervenuto consapevolmente per curare un affare altrui o semplicemente per errore circa la titolarità del bene in questione (V. la giurisprudenza maggioritaria Cass., 19-1-1956, n. 146).
Per comune affermazione della dottrina è comunque sufficiente che l’animus sia presente nelle fasi iniziali della gestione.
L’animus aliena negotia gerendi è escluso in caso di errore e/o di intenzione di trarre un vantaggio ingiusto (c.d. animus depredandi), ma anche in caso di intenzione liberale di chi effettua l’atto di gestione (c.d. animus donandi).
Nei casi di gestione imperfetta, ovvero priva di un qualche requisito prescritto dalla legge, giova ricordare che l’ordinamento pone una tutela in favore del dominus mediantel’istituto della ratifica (ex art. 2032 c.c.), il quale si pone l’obiettivo di salvare gli effetti di un negozio giuridico posto in essere da un falso rappresentante e/o che tali effetti possano essere vantaggiosi per il rappresentato.
Ed infine, ma non per questo meno importante, l’ordinamento richiede il requisito della liceità dell’atto gestorio.
Per liceità di un atto e/o fatto giuridicamente rilevante s’intende, chiaramente, una condotta che non sia contraria alle norme imperative, al buon costume e all’ordine pubblico.
Fatta questa doverosa premessa sui requisiti e presupposti dell’istituto di cui in oggetto, si cerca di meglio approfondire la natura giuridica e quali sono gli obblighi che da esso ne derivano.
Sul piano della natura giuridica, l’intervento gestorio volontario nella sfera giuridica altrui rientra in un’azione di tutela della solidarietà sociale, di cui ai sensi dell’art. 2 della Cost., ove si contemplano i doveri inderogabili dell’uomo di solidarietà politica, economica e sociale.
In altri casi, però, è percepita come una lesione dell’autonomia privata suscettibile, pertanto, di risarcimento del danno.
Per quanto concerne l’oggetto dell’affare, occorre affermare che questo può consistere in un’ampia varietà di attività, tra i quali si annoverano:
- atti materiali indirizzati alla gestione utile del patrimonio del dominus;
- atti negoziali che ammettono la rappresentanza;
- la gestione di un complesso patrimoniale;
- altre attività.
Ciò che è necessario è che deve avere contenuto patrimoniale: si escludono, pertanto, gli atti di gestione in materia di diritto di famiglia o comunque ogniqualvolta entrino in gioco interessi e ragioni di carattere personale.
La gestione di affari altrui può, inoltre, rivelarsi nei rapporti con l’esterno: a tal proposito, la disciplina de qua si distingue a seconda che si tratti di una gestione d’affari rappresentativa o non rappresentativa: il gestore può, pertanto, agire nei rapporti con i terzi in nome del dominus o in nome proprio.
Tale distinzione è menzionata all’articolo 2031 del codice civile quando si afferma che “l’interessato deve adempiere le obbligazioni che il gestore ha assunte in nome di lui, deve tenere indenne il gestore di quelle assunte dal medesimo in nome proprio”.
In ultima battuta si analizzano le obbligazioni del gestore nella gestione e gli obblighi dell’interessato, rispettivamente disciplinati dalle norme degli artt. 2030 e 2031 del codice civile.
Ai sensi dell’art. 2030 c.c. “il gestore è soggetto alle stesse obbligazioni che deriverebbero da un mandato”.
Ciò, però, non significa in realtà che alla gestione vada applicata la disciplina del mandato.
Mentre il mandato, infatti, è un atto bilaterale, la gestione di affari altrui è un atto unilaterale del gestore: ne consegue, pertanto, che quest’ultimo si discosta per la natura non contrattuale.
Tra le obbligazioni del gestore si annovera:
a) l’obbligo di continuazione dell’attività.
Ed infatti, anche a voler citare alcune delle pronunce giurisprudenziali in merito, si potrà affermare che “il gestore, libero di assumere o meno la gestione dell’affare altrui, una volta assunta quest’ultima è obbligata a condurla a compimento con mezzi provi” (Cass. N. 3692/58);
b) l’obbligo ex art. 1176 c.c. ovvero l’obbligo di adempiere l’obbligazione secondo la diligenza del buon padre di famiglia.
Gli obblighi del dominus sono, invece, delineati all’articolo 2031 del codice civile.
Il testo afferma che: “[…] l’interessato deve adempiere le obbligazioni che il gestore ha assunte in nome di lui, deve tenere indenne il gestore di quelle assunte dal medesimo in nome proprio […]”.
Regolando la gestione dell’affare nei rapporti interni tra dominus e gestore il legislatore ha inteso con questa norma liberare il gestore da qualunque responsabilità derivante dalla gestione stessa.
In conclusione la ratio della previsione di tale istituto risiede nel fatto che non sempre lo svolgimento di un’attività giuridica dell’interesse di altri, senza averne il potere, costituisce un fatto socialmente riprovevole: in talune circostanze, anzi, dimostrare di avere un interesse nelle altrui faccende può essere considerato utile e vantaggioso dal punto di vista sociale.
Dott.ssa Paola Blaiotta