#WeeklyUpdates | La responsabilità medica alla luce della Legge Gelli-Bianco N. 24/2017.
La legge n. 24/2017 (cd. Legge Gelli-Bianco) – rubricata “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie” è entrata in vigore il 1 aprile 2017 e ha come tema centrale la responsabilità medica.
Tale istituto è stato, però, in precedenza disciplinato dal D.L. n. 158/2012, noto come la “Legge Balduzzi”.
La ratio di questa scelta normativa è stata quella di adeguare i profili di responsabilità civile e penale degli operatori del settore medico e sanitario, nonché la finalità di eliminare o limitare il più possibile il fenomeno della c.d. medicina difensiva, ovvero la pratica con cui il medico difende se stesso contro eventuali azioni di responsabilità medico legali in seguito alle cure mediche prestate.
In questa sede si farà luce sulle novità introdotte dalla Legge Gelli – Bianco.
Prima, però, di entrare nel merito della responsabilità medica risulta necessario fare una differenza tra: a) le linee guida; b) le buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica; c) i protocolli, concetti che ci torneranno utili per meglio comprendere il contenuto della legge di cui in esame.
Sono tante le definizioni fornite ai concetti sopra indicati e, a tal proposito, si proverà a fare chiarezza sul punto.
Di recente, il Direttore del Centro Nazionale Eccellenza Clinica, Qualità e Sicurezza delle Cure, ha definito le linee-guida come “uno strumento di supporto decisionale finalizzato a consentire che, fra opzioni alternative, sia adottata quella che offre un migliore bilancio fra benefici ed effetti indesiderati, tenendo conto della esplicita e sistematica valutazione delle prove disponibili, commisurandola alle circostanze peculiari del caso concreto e condividendola – laddove possibile – con il paziente o i caregivers”.
Definizioni di linee-guida si rintracciano però anche in ambito giurisprudenziale.
La Cassazione penale ha, infatti, definito le linee-guida come: “sapere scientifico e tecnologico codificato, metabolizzato, reso disponibile in forma condensata, in modo che possa costituire un’utile guida per orientare agevolmente, in modo efficiente ed appropriato, le decisioni”(Cass. pen. n. 28187/2017).
Più recentemente, è intervenuta la Suprema Corte penale, a Sezioni Unite, che ha definito nuovamente le linee guida come “un condensato delle acquisizioni scientifiche, tecnologiche e metodologiche concernenti i singoli ambiti operativi, reputate tali dopo un’accurata selezione e distillazione dei diversi contributi, senza alcuna pretesa di immobilismo e senza idoneità ad assurgere al livello di regole vincolanti” (Cass. pen. n. 8770/2018).
Per quanto riguarda, invece, le buone pratiche clinico – assistenziali non vi è una definizione vera e propria.
In linea generale possono essere considerate come una “raccolta eterogenea di fonti di conoscenza prodotte con meccanismi e con intenti diversi” dalle linee-guida, in quanto, sostanzialmente, basate su standard di qualità e sicurezza.
Il protocollo, infine, è uno schema rigido di comportamento clinico predefinito ed il suo valore obbligatorio viene definito mediante decreto normativo.
Giova, però, ricordare che il medico, pertanto, può discostarsi dal protocollo previa informazione ed accettazione da parte del paziente ed altresì previo parere motivato dello stesso.
Ritornando alla disamina della riforma, è da evidenziare che le novità sul versante penale sono concentrate agli artt. 5 e 6 della nuova legge.
L’art. 5, in particolare, prevede che “Gli esercenti le professioni sanitarie, nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi del comma 3 ed elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, e da aggiornare con cadenza biennale. In mancanza delle suddette raccomandazioni, gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone pratiche clinico – assistenziali”.
Dalla lettura di questa normativa si possono cogliere due aspetti fondamentali: a) il maggiore rilievo attribuito dal legislatore alle linee-guida rispetto alle buone pratiche clinico – assistenziali; b) la specificazione dei soggetti i quali si devono attenere ad esse.
L’art. 6, invece, introduce l’art. 590-sexies, ovvero una responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario, in cui si prevede che: “se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma. Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico – assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.
Si evince pertanto: a) la scomparsa della distinzione da colpa lieve e da colpa grave; b) la non punibilità limitata alla sola condotta imperita, rispettosa delle linee guida o delle buone pratiche.
Ed infatti, la giurisprudenza ha confinato la colpa grave a quelle ipotesi in cui il sanitario si attiene a linee guida e non avrebbe dovuto attenersi e qualsiasi altro sanitario si sarebbe reso conto della necessità di disattendere le linee guida nel caso concreto (fra le ultime: Cass. 27185-15).
Quanto alla novità di cui al punto b., è opportuno evidenziare come la nuova legge, in ossequio alla giurisprudenza maggioritaria e rispetto alla Legge Balduzzi, ritiene che solo l’imperizia opera come scusante.
Restano, quindi, sempre punibili comportamenti colposi del sanitario connotati da negligenza e/o imprudenza, oltre che ovviamente da dolo.
Altri punti salienti della legge si possono così sintetizzare:
- istituzione dell’Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità con il compito di acquisire i dati relativi ai rischi ed eventi avversi nonché alle cause e, anche, mediante la predisposizione di linee di indirizzo, individuazione di idonee misure per la prevenzione e la gestione del rischio sanitario, il monitoraggio delle buone pratiche per la sicurezza delle cure nonché la formazione e l’aggiornamento del personale esercente le professioni sanitarie (art. 3);
- Trasparenza dei dati sanitari (art. 4);
- Responsabilità civile della struttura e dell’esercente la professione sanitaria (art. 7);
Sul piano procedurale non mancano novità introdotte con la Legge Gelli – Bianco, ovvero:
- Tentativo obbligatorio di conciliazione intesa condizione di procedibilità della domanda di risarcimento (art. 8);
- Azione di rivalsa o di responsabilità amministrativa (art. 9);
- Obbligo di assicurazione tanto per le strutture sanitarie pubbliche e private, quanto per l’esercente la professione sanitaria (artt. 10-11);
- Azione diretta del soggetto danneggiato (art. 12).
Occorre, in questa sede, approfondire l’art. 7 della Legge Gelli – Bianco.
L’art. 7 disciplina la responsabilità civile delle strutture sanitarie o sociosanitarie e degli esercenti le professioni sanitarie, prevedendo una netta bipartizione tra la responsabilità dell’ente ospedaliero e quella della persona fisica per i danni occorsi ai pazienti.
La questione è stata oggetto di perplessità a causa del lacunoso impianto normativo che ha portato spesso la giurisprudenza di merito e di legittimità a pronunciare orientamenti contrastanti.
La responsabilità civile della struttura sanitaria è di natura contrattuale e nell’adempimento della propria obbligazione la stessa si avvale dell’opera di esercenti la professione sanitaria (art. 7 co. 1).
Ne consegue, pertanto, che la struttura risponde nei confronti dei danneggiati, ai sensi dell’ articolo 1218 c.c., ossia di responsabilità del debitore e dell’art. 1228 c.c. in tema di responsabilità per fatto degli ausiliari.
La norma, però, non specifica la fonte di obbligazione a cui fa riferimento.
A causa di questo vuoto legislativo, la giurisprudenza maggioritaria ha spesso fatto riferimento al cd. “contratto atipico di spedalità”, avente ad oggetto tanto l’erogazione delle cure sanitarie, quanto gli “obblighi di protezione e accessori” (es. vitto, alloggio, ristorazione, custodia del paziente, di igiene, di adeguatezza delle attrezzature e degli impianti, ecc).
Il momento del perfezionamento di tale contratto si ha con l’accettazione del paziente presso la struttura.
Il comma 3 stabilisce, invece, che la responsabilità dell’esercente le professioni sanitarie sia di natura extracontrattuale: egli risponde del proprio operato ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Tale previsione si pone in regime di discontinuità rispetto al passato: si sosteneva che, all’atto di ricovero, tra medico e paziente si stabiliva un “contatto sociale qualificato” (nel senso che non era casuale, ma voluto da entrambe le parti), per effetto del quale il primo assumeva specifici obblighi di protezione nei confronti del secondo, la violazione dei quali imponeva il risarcimento del danno nelle forme prescritte dall’art. 1218 c.c.
La legge Gelli ha superato la teoria del contatto sociale con l’intento di diversificare le due posizioni, spostando il rischio sul soggetto maggiormente capiente: questo a vantaggio tanto dell’esercente la professione sanitaria, che risponde solo dei danni integralmente provati dal paziente, quanto del paziente medesimo, il quale è spinto ad agire nei confronti di chi può risarcire i danni più facilmente.
La logica seguita dalla legge Gelli è quella di prevenzione, onde per cui l’attenzione viene spostata dal soggetto che ha commesso il fatto al “sistema”, alla ricerca dei fattori che hanno agevolato o reso possibile l’incidente.
Ed, infatti, al fine di evitare che si verifichino situazioni – al quanto evitabili – alla struttura si chiede di dotarsi di un apparato efficiente e di attivarsi per un’accorta prevenzione e gestione del rischio.
Sul piano della determinazione del risarcimento del danno al paziente, il Giudice deve tener conto della condotta dell’esercente la professione sanitaria, ossia del rispetto delle raccomandazioni previste dalle linee guida e, in mancanza, delle buone pratiche clinico – assistenziali.
Per quanto riguarda l’onere della prova, per accertare la responsabilità civile nei confronti della struttura sanitaria, di cui al comma 1, il danneggiato dovrà semplicemente provare il titolo da cui deriva l’obbligazione (ad es. il c.d. contratto di spedalità) e provarne l’inadempimento, salvo i casi in cui la struttura stessa dimostri l’esatto adempimento o l’inadempimento per causa ad essa non imputabile.
Nel giudizio contro l’esercente la professione sanitaria, invece, l’onere della prova è sempre a carico del danneggiato, che dovrà provare il fatto illecito, il danno, l’elemento soggettivo (la colpa) ed il nesso causale tra condotta ed evento.
Nonostante il tempo trascorso dalla sua entrata in vigore, la legge Gelli-Bianco non ha trovato ancora integrale applicazione.
Al fine di sensibilizzare e promuovere l’intervento del legislatore sulla materia, occorre evidenziare che il Sistema Nazionale delle Linee Guida (abbreviato S.N.L.G.) è ancora povero di contenuti perché mancano gli aggiornamenti ottenuti dalla ricerca scientifica.
In particolare, non risultano ancora emanati i decreti ministeriali attuativi in materia assicurativa e ciò impedisce la cd. azione diretta: in questo modo il paziente danneggiato non ha possibilità di chiamare subito in causa la compagnia assicuratrice della struttura sanitaria o del medico – per cui vi sussiste l’obbligo – al fine di essere risarcito direttamente da essa.
Ed infine, l’ulteriore aspetto critico della vigente legge è che manca il regolamento per il Fondo di garanzia per i danni derivanti da responsabilità sanitaria, previsto dalla legge Gelli – Bianco e destinato a provvedere al risarcimento in caso di insufficienza del massimale assicurato o di insolvenza della compagnia.
Dott.ssa Paola Blaiotta