#WeeklyUpdates | Il danno da occupazione abusiva è in re ipsa?
“Deve essere rimessa al Primo presidente, affinché valuti l’opportunità di rimettere la questione alle Sezioni Unite, se il danno da occupazione abusiva può essere considerato in re ipsa o deve essere dimostrato senza l’applicazione di alcun automatismo.” (Cfr. Cassazione civile sez. III, 17/01/2022, n.1162).
E’ di questo tenore l’ultima ordinanza di remissione al collegio delle Sezioni Uniti: spetterà al Supremo Consesso stabilire se il danno da occupazione abusiva può essere considerato in re ipsa o debba invece essere dimostrato senza l’applicazione di alcun automatismo.
Gli aspetti sostanziali:
Con la terminologia – “in re ipsa” si suole indicare, secondo una dizione giuridico – letterale, un fatto manifesto, di palmare evidenza. Va da sé che un avvenimento, un fatto, un contesto di tale chiarezza, nocumentativo o meno che sia, non abbia alcuna necessità di essere corroborato da elementi probatori. In altre parole, se è certo, non ha bisogno che lo si provi.
Ed è proprio in questo solco che si inserisce la questione sottesa alla presente trattazione.
Nelle ipotesi di occupazione abusiva, da parte di un soggetto non legittimato all’esecuzione occupativa, ovvero che non sia in possesso di alcun titolo che ne giustificherebbe l’essenza – cd. occupazione sine titulo – una ipotesi di accertamento della responsabilità, nonché una conseguente risarcibilità del danno patito, trova il proprio motore propulsore nella semplice condotta e, quindi, negli atti, posti in essere dal soggetto occupante abusivo.
Per meglio comprovare una tesi di sorta, è bene partire da un istituto giuridico base: il diritto di proprietà.
A differenza di altri diritti/istituti, il cui acclaramento presuppone una attività probatoria di rilevante intensità senza, peraltro, talvolta risultare sufficiente (si veda il campo della responsabilità derivante della circolazione dei veicoli, ovvero la cd. Medical Malpractice), il diritto di proprietà ha un maggiore indice di certezza, potendo, spesso, essere acclarato anche solo per tabulas.
In seno ad un ipotetico – già avvenuto – accertamento del diritto di proprietà di un immobile in capo ad un soggetto, è naturale conseguenza che una lesione del medesimo diritto – in species l’occupazione che avvenga in assenza di titolo e/o di autorizzazione – sia manifestamente portatrice di nocumento per il soggetto effettivamente titolare del diritto.
Per di più, appare opportuno citare l’articolo relativo alla proprietà: “Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”. Dal tenore letterale della norma, il cui contenuto menziona espressamente ed esclusivamente il “proprietario”, si esclude e, se sussistente, si sanziona, una qualsivoglia ingerenza altrui nello spazio dello ius in questio.
Gli aspetti processuali:
Soffermandoci adesso sugli adempimenti processuali, in particolare sulla condotta probatoria da adottare in virtù di una richiesta risarcitoria da imputare al soggetto occupante, è da ritenersi che l’onere probatorio sia da considerare in termini pienamente oggettivi. Sicché, un comportamento invasivo dell’altrui sfera giuridico – spaziale è da ritenere, in via esclusiva e perciò in re ipsa, come dichiarativo di una condotta illecita, senza che si appalesi nulla, ex versus probandi, per il soggetto leso, la cui lesione venga demandata all’Autorità Giudiziaria perché se ne accerti sa sussistenza.
In caso contrario, si correrebbe in un duplice ordine di rischio: una probatio diabolica per il soggetto attore/leso, la cui ontologica giustificazione non permetterebbe un acclaramento della sua lesione giuridica e, per altro versante, una continuazione della lesione medesima. Conseguente è l’inaccettabilità di quest’ultimo punto.
Per concludere, è bastevole riportare in questa sede il contenuto della norma di cui all’articolo 2729 c.c: “Le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato”. Pertanto, in una fattispecie astratta in cui sia rinvenibile un fatto noto (la sussistenza, in capo al soggetto leso, del diritto di proprietà del bene occupato), necessario per giungere ad un fatto ignoto o da provare (la lamentata occupazione sine titulo), la prova dell’avvenuta condotta illecita non può che rintracciarsi nel mero comportamento del soggetto occupante, sic, in via presuntiva.
Si veda, in tal senso, una pronuncia della Suprema Corte di Cassazione in cui, sebbene sulla base di presupposti di fatto differenti rispetto al caso di specie (l’occupazione abusiva dell’immobile) si afferma come, in ipotesi di condotte ricadenti su beni immobiliari, il danno sia, nella pluralità dei casi, in re ipsa, stante la mancata libera disponibilità del bene la impossibilità di conseguire integralmente l’utilità da esso ricavabile (Cfr. Cass. Ord. n. 21835 del 2020).
La quantificazione del danno:
Per ciò che concerne la quantificazione del danno da – eventualmente – erogare nei confronti dell’autore del fatto illecito, non potendo auspicare un’applicazione tabellare, poiché non applicabile in ipotesi di danno patrimoniale, le vie da seguire possono essere soltanto due: la via del cd “danno figurativo”, la cui quantificazione è da basare sul valore locativo del bene ovvero, in alternativa, la via equitativa del prudente apprezzamento del decidente.
Attendiamo, quindi, la decisione delle Sezioni Unite.
Dott. Giuseppe Bellintani