#WeeklyUpdates | Illecito endofamiliare, bigenitorialità e interesse del minore
La famiglia, formazione sociale per eccellenza, riconosciuta all’interno del nostro ordinamento al disposto costituzionale di cui all’art. 29, incentra la sua disciplina prevalentemente sul best interest of the child.
Quest’ultimo permea interamente nel principio di bigenitorialità, ovvero quel principio che si traduce volgarmente nel diritto di ogni minore, in primis, a sapere chi sono i propri genitori ma soprattutto a godere di tutti quei diritti estrinsecati agli artt. 315 bis, 316 e 316-bis c.c. ovvero il diritto del figlio ad essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, di crescere in una famiglia e di mantenere con i propri familiari rapporti significativi.
L’espressione della bigenitorialità, tuttavia, oggigiorno è un’utopia: troppo spesso ci troviamo di fronte a situazioni di abbandono o disinteresse da parte dei genitori nei confronti dei propri figli, motivo per cui il nostro lungimirante legislatore ha previsto (tra le altre forme di tutela) le c.d. azioni de potestate volte alla tutela della bigenitorialità mediante, ad esempio, il riconoscimento o il disconoscimento, l’istituto del reclamo dello status di figlio ecc.
Può, invece, il riconoscimento di paternità ritenersi contrario all’interesse del minore?
A tal uopo, invero, come meglio specificato dal Tribunale di Monza (v. sentenza 18/12/2019, n.2787) “l’art. 250 c.c. devolve alla cognizione del giudice una valutazione circa l’interesse primario del figlio al riconoscimento, di guisa che il giudice è chiamato, non solo a ratificare un fatto naturale (quale la procreazione del figlio da parte di un soggetto che si afferma esserne il padre), ma anche a valutare l’interesse del figlio ad avere quel soggetto come padre. L’esame della rispondenza del riconoscimento all’interesse del minore passa attraverso il necessario bilanciamento tra diritti tutti costituzionalmente garantiti, vale a dire, il diritto alla paternità e il diritto del minore ad avere un padre, sia in relazione alla propria identità personale, sia in relazione al fondamentale apporto nella sua crescita psicofisica della presenza di entrambi i genitori. In particolare se, da un lato, il genitore ha un diritto costituzionalmente garantito al riconoscimento del figlio, dall’altro lato, tale diritto non è assoluto, ma è controbilanciato dal diritto del minore a non vedere compromesso il proprio sviluppo psico-fisico e anzi è quest’ultimo diritto che, in caso di contrasto, deve essere ritenuto più importante. In tale contesto, il mancato riconoscimento, piuttosto che implicare un vulnus al diritto costituzionalmente garantito del figlio ad avere un genitore, si configura quale unico mezzo di tutela del diritto, anch’esso primario, del minore ad una crescita equilibrata.”
E quali tutele e rimedi azionare nel caso in cui, pur sussistente l’interesse del minore, è proprio uno dei genitori a disinteressarsi alla vita, alla crescita e allo sviluppo del proprio figlio non concorrendo, altresì, con i contributi fattivi (e affettivi) dell’altro genitore?
Emblematico è il caso sottoposto all’attenzione del Tribunale di Cagliari, Sez. II Civile, che ha pronunciato sentenza il 12 febbraio 2020 in un procedimento in cui madre e figlia hanno chiesto la condanna del di lei padre al risarcimento dei danni patrimoniali e non subiti da entrambe a causa della privazione della figura paterna e della collaborazione genitoriale nella crescita della minore.
Nel caso di specie, il padre, fin dalla nascita della figlia, non ha mai coltivato relazioni con la stessa, omettendo addirittura di riconoscerla. Una volta però effettuato il test del DNA, il padre ha continuato a mostrare disinteresse, non provando ad instaurare alcun rapporto con la minore, adempiendo esclusivamente una tantum al suo mantenimento economico.
Di conseguenza, la minore ha vissuto dei momenti di notevole difficoltà, affrontando addirittura une percorso di psicoterapia; allo stesso tempo, l’altro genitore ha subito un evidente danno (non solo di natura patrimoniale!) per aver in via esclusiva mantenuto la figlia, abbandonando qualsiasi velleità a livello professionale.
Per tali ragioni, il giudice adito ha ritenuto meritevoli di accoglimento le istanze delle due donne di casa, riconoscendo ad entrambe la lesione di diritti costituzionalmente garantiti.
Trattasi, nella fattispecie in esame, dell’ipotesi dell’illecito endofamiliare, che si concretizza all’interno delle relazioni familiari, allorquando in conseguenza di violazioni di doveri familiari si realizzino lesioni ai diritti della persona.
Ebbene, il disinteresse mostrato dal genitore nei confronti del proprio figlio costituisce, non solo, una grave violazione degli obblighi genitoriali di cui sopra, ma anche la violazione del diritto ad essere educato e mantenuto estrinsecato nel combinato disposto di cui agli artt. 2 e 30 della Costituzione.
Fondamentali si palesano, infatti, il diritto del figlio di instaurare con i propri genitori e fin dalla nascita una relazione genitore-figlio preponderante nella sviluppo dell’equilibrio psicofisico di ogni persona, ma anche il diritto di spendere tale relazione nella sfera sociale, tramite il riconoscimento esterno dello statusdi figlio (assunti evidenziati anche nella Convenzione di New York del 20.11.89 sui diritti del fanciullo, nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ed anche nella CEDU).
Tale riconoscimento è, poi, altresì rilevante anche al fine di evitare la realizzazione di discriminazioni per i figli nati fuori dal matrimonio.
Ecco perché, il disinteresse del genitore, oltre a costituire una grave violazione degli obblighi genitoriali come sopra descritti, incidendo su beni fondamentali, integra anche un illecito civile e consente un’autonoma azione risarcitoria ai sensi dell’art. 2059 c.c..
La figlia ha potuto dimostrare il grave pregiudizio arrecato alla sua persona dalla mancanza della figura partena mediante deposito di relazioni mediche e alcune testimonianze, provando di aver vissuto un grave stato di sofferenza psicologica derivante dalla privazione ingiustificata della figura paterna: si è così determinata, secondo il Tribunale, una lesione di carattere irreversibile del diritto di natura costituzionale della figlia.
In questa ipotesi, il danno endofamiliare si è estrinsecato, oltre che nel danno di natura patrimoniale, anche in quell’altro pregiudizio subito dall’altro genitore per essersi occupata in via eslusiva per tutta la vita della minore.
A ben vedere, l’art. 30 Cost. – che prevede espressamente il diritto e il dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli – fa riferimento ad entrambi i genitori come soggetti obbligati: persiste, dunque, un obbligo reciproco e solidale la cui violazione produce un danno non patrimoniale non solo al figlio ma anche all’altro genitore che ha svolto “funzioni suppletive” del genitore disinteressato.
Anche in tali ipotesi, dunque, è applicabile l’art. 2059 c.c.. in quanto diritto del genitore assume rango costituzionale nascente dall’art. 30 che fa sorgere un obbligo reciproco e strutturalmente condiviso in capo ai genitori.
In conclusione, occorre ponderare e bilanciare sempre il principio della bigenitorialità all’interesse del minore: nel processo evolutivo ed educativo di un minore ad entrambi i genitori spettano diritti e doveri la cui violazione costituisce e nei confronti del figlio e nei confronti dell’altro genitore fonte di responsabilità civile.
Dott.ssa Martina Vetere