#WeeklyUpdates | Usi Civici, storia e disciplina: il caso del Comune di Belsito
Bisogna andare indietro nel tempo per poter capire di cosa si parla quando si tratta diusi civici. Nell’epoca in cui la proprietà era sottoposta alla forza delle armi e la classe nobiliare esercitava tale diritto, nel tentativo di aumentare la propria ricchezza concedeva l’utilizzo del fondo “privato” al popolo.
È in questa ottica che vennero a costituirsi numerosi diritti reali, in epoca successiva tipizzati e grazie alCode Civil des Françaiso Code Napoléon, inseriti nel codice civile che abbiamo ereditato.
Tra i diritti reali di quell’epoca, infatti, venne introdotto l’uso civico, caratterizzato dal fatto che il concedente del fondo oggetto del diritto reale non è il “signore”, quindi il singolo, bensì una collettività di persone per il quale oggi intendiamo l’ Ente territoriale.
L’uso civico è un diritto di godimento di natura collettiva che si viene a creare su beni immobili sotto forma di diritto di poter esercitare una specifica attività quale ad esempio caccia, pascolo, legnatico, semina e spettanti ai membri di una comunità, su terreni di proprietà pubblica o di privati.
Il diritto d’uso civico solitamente non ha origini legali o convenzionali ma è piuttosto un istituto riconosciuto “di fatto” in base alla prassi tramandata da tempo immemore, e/o precisato e circoscritto ci in base alla sussistenza di particolari condizioni storico-geografiche conservate in ricorrenti e specifiche consuetudini.
Pertanto, nel nostro ordinamento giuridico, gli Usi Civici vengono quasi sempre riconosciuti sulla base della fonte-fatto, ascrivibili di conseguenza nell’alveo del diritto consuetudinario.
Probabilmente, in virtù del fatto che il concetto di uso civico – cioè quello di dare sostentamento vitale alle popolazioni nel momento in cui solo dalla terra le popolazioni potevano ricavare la loro sopravvivenza – oggi ha perso la sua ragion d’essere essendo lo stesso un istituto prevalentemente in disuso, che è diventato complesso individuare al meglio questi diritti da parte degli Enti locali (regioni, province e comuni), che spesso non riescono a quantificare e qualificare le terre su cui vantano i detti diritti civici.
La necessità di tutelare gli usi civici è tuttavia ritenuta fondamentale dalla giurisprudenza che continua a esprimersi in merito con numerose pronunce.
Normativa di riferimento
La Legge n. 1766/27 e il Regolamento d’attuazione n. 332/28sono le leggi vigenti che regolano l’istituto e che individuano nel Comune l’ente deputato ad amministrare e tutelare il bene ma solo nella qualità di esponente e rappresentante del diritto dell’intera comunità, di talché il Comune non può quindi disporne in assoluta libertà, come se fosse un qualsiasi bene patrimoniale disponibile: il Comune rappresenta la collettività proprietaria dei beni e che esercita, individualmente o congiuntamente, i diritti di godimento sui terreni sui quali esistono tali diritti.
La Legge n. 168/2017, “ultima arrivata” a disciplinare gli usi civici, parla espressamente di domini collettivi – riconosciuti come ordinamento giuridico primario delle comunità originarie – e per i quali si intende una situazione giuridica in cui una determinata estensione di terreno (di proprietà sia pubblica che privata) è oggetto di godimento da parte di una collettività determinata, abitualmente per usi prevalentemente agro-silvo-pastorali: il dominio collettivo rappresenta una estensione del controverso concetto di uso civico in senso stretto.
domini collettivi, nello specifico, sono soggetti alla Costituzione e hanno la gestione del patrimonio naturale, economico e culturale che coincide con la base territoriale della proprietà collettiva.
Pronunce giurisprudenziali
Vista la natura assai controversa dell’uso civico, esso è stato oggetto di diverse pronunce giurisprudenziali, una delle più recenti e significative è la sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 2704/2019 con la quale si afferma ancora una volta che “il Comune ha l’assegnazione del bene solo quale Ente esponenziale della collettività: rappresenta tale collettività essendo tenuto ad assicurare l’uso civico di destinazione, al quale non può rinunziare liberamente, dal momento che non gli appartiene”.
Il caso del Comune di Belsito
Un caso analogo è rappresentato dalla sentenza n. 2/2020 del Commissariato per gli Usi Civici della Calabria emessa il 15/04/2020 e con cui il Commissario si esprimeva in merito alla vertenza sorta tra alcuni cittadini, rappresentanti della comunità, ed il Comune di Belsito (CS).
In Italia, il Commissario per gli Usi Civici venne istituito con la legge 16 giugno 1927, n. 1766, ed è un magistrato speciale avente il compito di regolare i conflitti in materia di legislazione degli usi civici.
I cittadini del piccolo paese del cosentino si sono rivolti a tale autorità per vedere tutelati i propri diritti e quelli della intera comunità, a seguito della vendita del Fondo su cui vantavano il diritto di uso civico da parte dell’ente territoriale.
Il Commissario ha accolto il ricorso e ritenuto illegittimo il potere esercitato dal Comune e quindi ha dichiarato nullo l’atto di compravendita del Fondo stipulato qualche anno prima ed ha disposto la reintegra nel possesso da parte dei cittadini.
Gli usi civici sono infatti diritti inalienabili e imprescrittibili della collettività e seppur è venuta meno la funzione originaria, oggi l’istituto dell’uso civico ha, nella stragrande maggioranza dei casi, la finalità di garantire il mantenimento di un ambiente naturale, che nel tempo è venuto meno.
La sentenza del Commissario per gli Usi Civici della Calabria può essere appellata esclusivamente di fronte alla Sezione Specializzata per gli Usi Civici della Corte d’Appello di Roma, e in questo caso è stato proposto dal soggetto che aveva acquisito la proprietà del Fondo e che certamente ha necessità di vedere soddisfatti i propri diritti.
Ora si tratta solo di vedere come l’autorità giudicante deciderà di bilanciare i diritti delle parti.
Dott.ssa Marilena Forte