#WeeklyUpdates | Processo amministrativo: qualifiche e poteri del controinteressato
Il procedimento amministrativo, nell’ordinamento giuridico italiano, è quel particolare iter procedimentale teso al compimento di un insieme di atti finalizzati alla manifestazione dell’effetto giuridico tipico di una fattispecie, attraverso cui la Pubblica Amministrazione manifesta la propria volontà.
Anche nel processo amministrativo, come negli altri tipi di diritto applicato, il concetto di parte si riferisce sostanzialmente al soggetto che propone l’azione nonché al soggetto contro il quale l’azione viene proposta.
Nello specifico, si parla di ricorrente come colui che, titolare dell’interesse all’annullamento o alla modifica di un atto amministrativo, propone il ricorso per ottenere appunto l’annullamento o la riforma, e il resistente, o meglio amministrazione-resistente, che invece è colui che difende le modalità attraverso le quali ha esercitato il proprio potere.
Di particolare evidenza è poi la figura del c.d. controinteressato, o parte resistente privata, che è quel soggetto individuato o facilmente individuabile che si oppone all’accoglimento del ricorso in quanto manifesta l’interesse alla conservazione di un atto amministrativo, chiedendo appunto il rigetto dello stesso al collegio, mediante la presentazione ed il deposito di deduzioni ed eventuale documentazione a sostegno.
La figura appena delineata è stata oggetto di diverse interpretazioni dottrinali, sfocianti in due diverse teorie: quella “formale”, che ravvisa la figura del controinteressato in quel soggetto nominativamente indicato nel provvedimento gravato o, come detto, agevolmente individuabile dallo stesso e che, contestualmente, vanti un interesse contrario alla rimozione del provvedimento -rimozione che potrebbe comportare effetti negativi per la propria sfera giuridica- e la teoria “sostanziale” che ravvisa il controinteressato in colui che può anche non coincidere con i controiteressati in senso formale, ma che riguarda i soggetti titolari di una posizione incompatibile o contraria con quella dedotta in giudizio.
Dunque, sia il controinteressato in senso sostanziale che il controinteressato in senso formale sono titolari di un interesse speculare rispetto a quello del ricorrente, ma l’unica differenza risiede nel fatto che il controinteressato in senso formale, a differenza di quello sostanziale, è facilmente desumibile dal provvedimento.
Proprio la riconducibilità di quest’ultimo al provvedimento fa sì che siano parti necessarie solo i controinteressati in senso formale e non anche i controinteressati sostanziali, il che porterebbe ad uno squilibrio fra le posizioni processuali di tali soggetti e che, in particolare, il controinteressato in senso sostanziale potrebbe anche rimanere inconsapevole dell’inizio di un processo che lo riguardi e non attivarsi rispetto alla possibilità di parteciparvi o meno.
Per riequilibrare, quindi, la posizione dei controinteressati in senso sostanziale, la giurisprudenza prima e ora anche il codice del processo amministrativo, entrato in vigore con il D.L. n. 104 del 2 luglio 2010, hanno ammesso che tali soggetti, nel momento in cui vengono a conoscenza del processo, possono partecipare al giudizio di primo grado di loro iniziativa e con medesimi poteri dei controinteressati in senso formale.
Inoltre, la giurisprudenza, dapprima a partire dall’adunanza plenaria N.2/1996, ha consacrato la legittimazione dei controinteressati sostanziali – anche nel caso in cui non avessero per nulla partecipato e preso parte al giudizio di primo grado – di proporre appello contro la sentenza che, accogliendo il ricorso del ricorrente, avesse ovviamente leso la loro posizione e successivamente nel 1999 con la pronuncia N. 1725 del 29.01.1999, ha puntualizzato che al fine di essere considerati controinteressati non basta, nell’ottica processuale, l’aver soltanto partecipato al provvedimento ma è necessario anche che l’atto impugnato produca effetti favorevoli alla posizione del partecipante al procedimento, che pertanto avrà interesse a partecipare al processo.
Ad ogni modo, nel pieno rispetto del principio del contraddittorio, principio cardine del processo amministrativo, la legge prevede all’art. 27 del c.p.a. che il contraddittorio sia integralmente costituito quando il ricorrente abbia notificato l’atto introduttivo del giudizio all’amministrazione resistente e, ove esistenti, ai controinteressati.
Più precisamente, l’onere di notifica ai controinteressati discende dal combinato disposto degli articoli 27 e 41 c.p.a. in conseguenza dei quali qualora sia proposta un’azione di annullamento il ricorrente ha l’obbligo di notifica verso la parte resistente ed almeno uno dei controinteressati. Sarà poi il G.A. (il Presidente o il Collegio) ad ordinare, entro un congruo termine, l’integrazione del contraddittorio tramite la notifica del ricorso anche agli altri controinteressati.
Entrando, poi, un po’ più nello specifico, si registrano orientamenti giurisprudenziali che, invece, nell’ambito delle procedure concorsuali e ad evidenza pubblica e soprattutto in relazione all’impugnazione dell’atto di esclusione da un concorso pubblico o da una procedura di evidenza pubblica non ammette la configurabilità di controinteressati.
Tali non sarebbero gli altri esclusi né tanto meno gli ammessi: infatti, “non sono ravvisabili controinteressati in senso tecnico ai quali debba essere notificato il ricorso rispetto all’impugnazione del provvedimento di esclusione da procedura concorsuale” (cfr. Cons. Giust. Amm. Sic., 29 gennaio 1998, n. 19; in termini Cons. Stato, Sez. II, 28 giugno 1995, n. 1860).
Per quanto concerne poi la procedura concorsuale o ad evidenza pubblica che giunge al suo termine con l’approvazione rispettivamente della graduatoria dei vincitori e dell’aggiudicazione, la giurisprudenza amministrativa, di contro, afferma la sussistenza di controinteressati in relazione alle impugnative promosse avverso i menzionati atti conclusivi. Con particolare riferimento alla graduatoria del concorso, si sostiene costantemente che il contraddittorio si ritenga pienamente integrato solo ove siano intimati tutti i soggetti risultati vincitori secondo la graduatoria impugnata (ed in queste ipotesi, attese le difficoltà di notifica a tutti i controinteressati, che la giurisprudenza normalmente autorizza la notifica per pubblici proclami, fermo restando la necessità di provvedere alla notifica individuale nei confronti dell’ultimo).
Con particolare riferimento, poi, alle impugnazioni relative alle procedure di evidenza pubblica, vanno distinte le ipotesi in cui venga impugnato l’atto di aggiudicazione da quelle in cui sia proprio l’aggiudicatario (in via provvisoria) che si dolga della mancata aggiudicazione definitiva. Ove, come nelle procedure di evidenza pubblica, il “vincitore” sia esclusivamente uno (l’aggiudicatario), l’impugnazione dell’aggiudicazione vede come controinteressato esclusivamente l’impresa aggiudicataria.
Nei giudizi aventi ad oggetto l’impugnazione da parte dell’aggiudicatario (provvisorio) del diniego di aggiudicazione definitiva, la giurisprudenza ritiene che non sussistono contro interessati … “Nel ricorso contro il diniego di aggiudicazione di un appalto di lavori pubblici proposto dall’impresa che al termine della gara si era classificata al primo posto, non può essere riconosciuta la qualità di controinteressato alle altre imprese che, in quanto collocate in posizione meno favorevole, da esse non contestata, non potrebbero dall’esito del giudizio vedere svanire o rafforzarsi il loro interesse ad un eventuale scorrimento della graduatoria stessa, giacchè il detto interesse non è direttamente collegato alla sorte dell’atto impugnato ma ad altri e successivi atti dell’amministrazione…” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 13 gennaio 1999, n. 22).
In riferimento, poi, agli atti di diniego e del silenzio-rifiuto – atteso che il controinteressato è solo colui che abbia acquistato una determinata posizione giuridica in virtù e per conseguenza diretta dell’atto impugnato e che quindi si trovi a difendere, dal richiesto annullamento, una posizione attribuitagli da quell’atto (cfr. Cons. Stato, ad. plen., 28 luglio 1956, n. 8.) – è generalmente affermata l’insussistenza di controinteressati in relazione alle impugnazioni di atti negativi di diniego, poiché questi ultimi, come tutti i provvedimenti negativi, non creano posizioni nuove. Essi, invero, si limitano a confermare lo stato attuale, ledono solo il soggetto che ha richiesto il provvedimento non recando, quindi, diretto e preciso vantaggio ad alcun altro soggetto. In relazione, invece, alle impugnazioni aventi ad oggetto il silenzio-rifiuto, si evidenzia che in questo caso manca persino l’atto fonte di utilità per eventuali terzi.
Vediamo, infine, quali possono essere le possibili strategie processuali poste in essere dal controinteressato una volta notificatogli il ricorso.
In primo luogo, egli può decidere di disinteressarsi totalmente del processo non costituendosi in giudizio restando, quindi, formalmente e sostanzialmente estraneo a tutte le vicende ad esso inerenti; potrebbe, al contrario, voler partecipare al processo con la finalità di far rigettare il ricorso del ricorrente avendo, quindi, in concreto un interesse uguale a quello dell’amministrazione resistente (in tal caso, così come sancito dall’art. 46 c.p.a., entro 60 giorni dal perfezionamento della notifica, può costituirsi in giudizio depositando una memoria difensiva in cui sostanzialmente – allegando anche documenti e/o indicando prove – conferma la bontà dell’operato della P.A.).
Per finire, come ultima strategia difensiva, il controinteressato potrebbe altresì proporre un ricorso incidentale, la cui fonte normativa si rinviene nell’articolo 42 c.p.a., per tale intendendosi quello strumento offerto alla parte resistente privata per impugnare lo stesso atto oggetto del ricorso principale, ma per motivi diversi da quelli già impugnati, con riferimento ad una parte dell’atto diversa da quella già contestata o per impugnare un atto ad esso connesso. Il ricorso incidentale è quindi finalizzato a fornire al controinteressato un’ulteriore e diversa difesa rispetto a quella che potrebbe spiegare e far valere attraverso una semplice memoria difensiva.
Affinchè il controinteressato sia legittimato a presentare ricorso incidentale, questo deve essere assistito da due elementi essenziali: innanzitutto, la parte resistente privata non deve aver subito una lesione attuale che lo avrebbe legittimato a proporre ricorso principale e secondariamente deve temere una lesione della propria situazione soggettiva in caso di accoglimento del ricorso principale proposto dal ricorrente.
E’ pertanto chiaro che il ricorso incidentale è ammissibile solo nell’ambito di un giudizio a carattere impugnatorio-annullatorio finalizzato a tutelare interessi legittimi. Infatti nel caso in cui, invece, venga proposta un’azione di accertamento o di condanna volte a tutelare diritti soggettivi, il controinteressato potrà opporsi al ricorrente solo facendo ricorso allo strumento delle “eccezioni” in senso stretto.
Inoltre, la figura del controinteressato non è neanche ammissibile nel giudizio di ottemperanza, poiché quest’ultimo ha ad oggetto l’inesecuzione (totale o anche solo parziale) o la violazione di una sentenza o di altro atto esecutivo del G.A., ossia una situazione che ha già avuto la sua definizione giudiziale.
Dal punto di vista tecnico, tuttavia, la tendenza dottrinale maggioritaria inquadra il ricorso incidentale nell’ambito delle c.d. “eccezioni” spettanti al controinteressato per il soddisfacimento di un interesse che nasce soltanto a seguito dell’impugnazione principale e che da questa dipende.
La ragione di questa prima qualificazione dottrinale va rinvenuta nelle modalità temporali con cui si propone il ricorso incidentale: il ricorso de quo può essere esperito entro un termine perentorio che decorre, non dalla conoscenza del provvedimento impugnato dal ricorrente, ma, bensì, dalla proposizione del ricorso principale che è l’atto lesivo dal quale discende direttamente l’interesse del controinteressato a proporre l’eccezione.
Stante a questa prima tesi, il ricorso incidentale è inteso come quello strumento preordinato a paralizzare la possibilità di accoglimento del ricorso incidentale e funziona come eccezione in quanto mira a paralizzare l’azione principale ed a neutralizzare gli effetti derivanti da un eventuale accoglimento del relativo ricorso; tesi che ha trovato riconoscimento anche in una recente pronuncia giurisprudenziale (cfr. Consiglio di Stato, n. 2435/2009).
Inoltre, l’istituto de quo non determinerebbe la perdita di efficacia del provvedimento, dal momento che non mira ad ottenere l’annullamento del provvedimento, ma solo alla sua conservazione, introducendo nel processo una causa di inammissibilità del ricorso principale basata sulla carenza di interesse.
Un ulteriore orientamento ermeneutico, poi, ritiene che il ricorso incidentale rientri invece nella categoria della “domanda riconvenzionale” quindi visto come un mezzo di difesa consistente nella proposizione di una domanda in contraddizione con la domanda introduttiva proposta dal ricorrente, dipendente però dal titolo dedotto in giudizio. In sostanza il ricorso incidentale non avrebbe solo la finalità di far dichiarare inammissibile il ricorso principale, ma in questo caso tenderebbe anche a far annullare l’atto amministrativo per motivi diversi da quelli dedotti dal ricorrente nel ricorso principale, poiché tramite esso il controinteressato potrebbe rilevare motivi diversi di illegittimità. Si pensi al caso di scuola in cui, all’esito di un concorso pubblico viene proposto il ricorso principale dal soggetto non vincitore che impugna la graduatoria finale e nel quale il controinteressato impugna la medesima graduatoria (pur risultando vincitore di esso), tramite ricorso incidentale, sostenendo che l’atto debba essere annullato in quanto la Pubblica Amministrazione non gli avrebbe valutato correttamente un titolo professionale figurante nel suo curriculum. Se, invece, la stessa amministrazione avesse valutato correttamente tale titolo, il controinteressato si sarebbe visto comunque vincitore del concorso ma, addirittura, con un punteggio finale superiore a quello (già di per sé favorevole) con cui è risultato vincitore del concorso nella graduatoria finale. In casi del genere, la finalità specifica del ricorso incidentale proposta dal controinteressato è proprio quella di rafforzare ulteriormente la posizione di vantaggio dello stesso attraverso l’annullamento dell’atto oggetto del ricorso principale.
Un altro caso in cui, mediante la proposizione incidentale del ricorso, il contro interessato riesce ad influenzare le sorti di un giudizio, si specifica nelle ipotesi in cui è possibile dedurre vizi riferiti ad una fase procedimentale precedente a quella in cui si è verificata l’illegittimità oggetto del ricorso principale. Ritornando al precedente esempio del concorso pubblico, se il ricorrente contesta la fase della valutazione dei titoli di anzianità professionale, il controinteressato, di contro, tramite l’esperimento del ricorso incidentale, deduce l’illegittima ammissione al concorso di determinati candidati che non avrebbero addirittura il requisito per partecipare al concorso.
Inoltre, si dubitava sia in dottrina che in giurisprudenza circa la possibilità che il ricorso incidentale potesse avere ad oggetto un atto presupposto rispetto a quello oggetto del ricorso principale.
Dapprima, la giurisprudenza aveva sposato un orientamento abbastanza restrittivo che escludeva, appunto, che gli atti-presupposti potessero costituire e rappresentare l’oggetto di un ricorso incidentale. Attualmente, invece, la giurisprudenza ammette e cristallizza pacificamente la possibilità che attraverso il ricorso incidentale si possano legittimamente impugnare anche provvedimenti connessi al provvedimento amministrativo impugnato dal ricorrente principale “…il ricorso incidentale di primo grado non è circoscritto al solo provvedimento oggetto dell’impugnazione principale, ma può rivolgersi anche ad altri provvedimenti correlati alla vicenda sostanziale in contestazione…” (cfr. Consiglio di Stato n. 489/2013 “.
Ed infine, una minore rappresentanza della dottrina definisce il ricorso incidentale come mezzo mediante il quale concentrare e riunire tutte le impugnazioni aventi ad oggetto lo stesso provvedimento, in maniera analoga a quanto avviene per l’impugnazione incidentale delle sentenze emesse nel processo civile.
Più precisamente si sostiene che tutte le volte in cui vi sia stata la notificazione di un ricorso principale, tutte le altre impugnazioni, a prescindere dalla natura dell’interesse ad esse sotteso e alla scadenza del termine previsto per l’impugnazione principale, debbano essere proposte tramite apposito ricorso incidentale. Tuttavia, tale ultimo assunto non appare pienamente condivisibile da una più attenta dottrina e giurisprudenza in quanto offrirebbe la possibilità, a chi non ha proposto ricorso principale entro il relativo termine di decadenza, di eludere quest’ultimo (facendo fede alla possibilità di riunirsi ad altri atti di impugnazione proposti) che invece, ricordiamolo, è un termine perentorio.
Avv. Manuela Stumpo