#WeeklyUpdates | Il decreto “antiscarcerazioni” è pienamente legittimo
Lo scorso 24 novembre è stata pubblicata, dopo 20 giorni dalla sua discussione nel Palazzo della Consulta, la motivazione della sentenza N. 245 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale di alcune norme delle discipline d’urgenza, emanate negli scorsi mese dall’esecutivo per fronteggiare le conseguenze della diffusione del virus Covid-19, sollevate quasi in simultanea dal Tribunale di Sorveglianza di Sassari e dai Magistrati di Sorveglianza di Spoleto ed Avellino.
Nello specifico, le disposizioni oggetto di controllo costituzionale riguardavano gli art. 2 e 5 del D.L. N. 29 del 10 maggio 2020, il c.d. decreto “antiscarcerazioni”, recante misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento dell’esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, così come trasfusi nell’art. 2-bis, D.L. 30 aprile 2020, n. 28 (recante, tra l’altro, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario), convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 2020, N. 70 , poste in violazione di alcuni principi costituzionalmente garantiti quali il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), il diritto di difesa (art. 24 Cost.), le responsabilità penale (art. 27, co. 3 Cost.), il diritto alla salute (art. 32 Cost.) nonché il principio del giusto processo (art. 111 Cost.).
Ebbene, fra le righe della sentenza in oggetto è chiaramente individuata la principale responsabile dell’ulteriore intervento del Governo, varato in piena emergenza epidemiologica, che aveva infatti suscitato scalpore e stupore nello scorso aprile ovvero l’avvenuta scarcerazione, per ragioni di salute connesse al crescente diffondersi del virus da Covid-19, di alcuni condannati per reati di criminalità organizzata.
Infatti, sulla base della disciplina speciale anzidetta, il Magistrato di Sorveglianza, successivamente alla concessione provvisoria della detenzione domiciliare od il differimento della pena ai sensi dell’art 147 c.p. ai condannati per i reati specificamente individuati, avrebbe dovuto procedere ad una rivalutazione delle condizioni per il mantenimento della misura, previo “parere del Procuratore distrettuale antimafia del luogo in cui e’ stato commesso il reato e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo per i condannati ed internati già sottoposti al regime di cui al predetto articolo 41-bis” entro il termine di 15 giorni dall’adozione del provvedimento, e poi con cadenza mensile. Valutazione da compiersi immediatamente o, comunque, entro il termine dei 15 giorni qualora il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria comunichi la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute del detenuto o dell’internato ammesso alla detenzione domiciliare surrogata o ad usufruire del differimento della pena.
Quindi, nel sollevare la questione di legittimità, il Magistrato di sorveglianza di Avellino con ordinanza del 3 giugno (r.o. n. 138 del 2020) ed il Magistrato di sorveglianza di Spoleto con ordinanza del 18 agosto 2020 (r.o. n. 145 del 2020) hanno evidenziato, in realtà, la predisposizione di un sistema di tutela inadeguato e limitativo di diritti universalmente riconosciuti, quali in primis il diritto di difesa. Infatti, la valutazione circa la sussistenza prima, e la permanenza dopo, di determinate condizioni (di salute) che consentono, eccezionalmente, la detenzione domiciliare o il differimento della pena, come agevolmente si rinviene dalla lettura della disciplina ad hoc, è rimessa totalmente all’insindacabile giudizio del Magistrato, senza prevedere alcun tipo di coinvolgimento di tipo prettamente tecnico della difesa dell’interessato, quindi privo di un naturale contraddittorio ma differito, eventualmente, al fine ultimo della revoca della misura “alternativa”.
Ad avviso della Corte adita la sussistenza del vizio di costituzionalità del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, così come denunciato dai magistrati rimettenti è esclusa, attesa l’esistenza di analoga disciplina nella normativa penitenziaria proprio in tema di detenzione domiciliare “in surroga”. Ed infatti, già l’art. 47-ter co. 1-quater ord. Pen. prevede ed ammette l’intervento del Magistrato di sorveglianza nell’applicazione provvisoria della medesima misura domiciliare in situazione di estrema urgenza o sulla base di informazioni e documentazioni specifiche, mediante un procedimento deformalizzato senza alcuna possibilità di replica da parte della difesa ma riservando l’instaurazione del contraddittorio delle parti alla fase successiva, in cui il Tribunale di sorveglianza decide in via definitiva sulla richiesta di applicazione della misura.
La Consulta applica, al caso sollevato, un ragionamento di tipo analogico: invero, la disciplina penitenziaria in tema di valutazione dell’istanza di applicazione della misura domiciliare “in surroga” non prevede alcuna forma di contraddittorio con il detenuto che ne fa richiesta, senza per ciò verificarsi una illegittima violazione del diritto di difesa; alla stessa maniera non è da ritenere costituzionalmente illegittima la disposizione di cui alla legislazione d’emergenza, entrata in vigore in piena crisi pandemica, nonostante la totale assenza di qualsivoglia forma di confronto del detenuto con il Magistrato di sorveglianza, il quale è quindi libero di rivalutare funzionalmente la permanenza delle già menzionate condizioni alla revoca od al mantenimento della misura precedentemente applicata. Competerà, infatti al Tribunale di sorveglianza confermare o revocare il provvedimento interinale al termine di un procedimento a contraddittorio pieno, nel quale la difesa avrà accesso agli atti e ai documenti sui quali poi si fonderà il convincimento del giudicante.
Nello specifico la Consulta non ha fatto altro che richiamare la differenza, così come evidenziata dai magistrati rimettenti, tra concessione del beneficio e revoca di un beneficio già concesso, che ha connotati più severi in quanto comporterebbe l’immediato ritorno in carcere del condannato.
Tuttavia, secondo il Giudice delle leggi, questa differenza, non determina una situazione di squilibrio fra gli interessi coinvolti, proprio perché la decisione assunta dalla Corte si incentra sulla necessità di attribuire al Magistrato di sorveglianza il potere di operare, in una situazione di estrema urgenza, un bilanciamento comparando le ragioni di tutela della salute del condannato e le contrapposte esigenze di tutela della collettività organizzata, attraverso l’esercizio di poteri d’ufficio e, in ragione della necessità di una rapida decisione nel procedimento di rivalutazione, senza l’intervento della difesa in quella specifica fase.
Secondo la valutazione della Consulta non è ravvisabile alcuna violazione dei principi indicati dai giudici rimettenti, anche e soprattutto in considerazione del successivo recupero della garanzia della difesa tecnica, mediante l’instaurazione del contraddittorio nel fase finale di conferma o revoca del provvedimento interinale.
Proseguendo poi secondo un ordine ben preciso, la Consulta ha infine ritenuto insussistente il vizio di costituzionalità anche in riferimento all’asserita violazione dell’art. 32 della Carta costituzionale sulla base delle censure formulate dal Tribunale di sorveglianza di Sassari e dal Magistrato di Sorveglianza di Avellino.
Secondo l’apprezzamento dei rimettenti, la disciplina prevista nei D.L. entrati in vigore tra aprile e giugno 2020 si porrebbe in netto contrasto con il diritto alla salute.
In realtà, la nuova disciplina non abbassa in alcun modo i doverosi standard di tutela della salute del detenuto, imposti dall’art. 32 Cost. e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo anche nei confronti di condannati ad elevata pericolosità sociale, compresi quelli sottoposti al regime penitenziario di cui all’art. 41-bis ord. penit.
Infine, la Corte ha considerato congiuntamente le censure sollevate dal Tribunale di sorveglianza di Sassari e dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto con riferimento all’art. 3 Cost., ritenendole anch’esse parimenti infondate.
Secondo i rimettenti la legislazione di emergenza determinerebbe, difatti, una disparità di trattamento tra i diversi condannati detenuti in relazione al solo titolo di reato, creando di fatto situazioni palesemente incompatibili con il principio della tutela della salute, intese come principio fondamentale e universalmente riconosciuto per tutti gli individui, liberi di circolare o ristretti nella loro libertà di movimento per atto dell’autorità giudiziaria.
La Consulta ha invece riconosciuto come ragionevole e non arbitraria la scelta del legislatore di imporre al giudice una frequente ed “unilaterale” rivalutazione delle condizioni che hanno giustificato la concessione della misura nei confronti di condannati per gravi reati connessi alla criminalità organizzata.
Anche le ulteriori censure relative agli artt. 27, co. 3 102 co.1 e 104 co. 1 della Costituzione sono state ritenute non fondate e pertanto, rigettate dalla Consulta atteso che le misure della detenzione domiciliare o del differimento di pena, così come definite dal legislatore di questo particolare periodo storico, non sono principalmente funzionali alla rieducazione sociale del condannato, ma poste in via del tutto esclusiva a tutela del bene imprescindibile del diritto alla salute.
La legge “antiscarcerazioni” non determina alcuna interferenza con le prerogative del potere giudiziario, non travolge il diritto di difesa del condannato né il principio del contradditorio ed è posto, ad avviso della Corte Costituzionale, a tutela del prezioso bene della salute dell’individuo, nella sua generalità.
Avv. Manuela Stumpo