#WeeklyUpdates | Il Know-how: strumenti di tutela e limiti
Nell’ambito aziendale una tematica in continua evoluzione è il cd. Know-how.
Il know-how meglio s’inserisce nell’ambito della disciplina afferente ai brevetti o agli altri prodotti dell’ingegno tutelati dal c.p.i.
Esistono diverse tipologie di brevetti tra cui: invenzioni industriali, ovvero “le invenzioni nuove che implicano un’attività inventiva e sono atte ad avere un’applicazione industriale”, modelli industriali, ovvero “per modelli di utilità” e per “modelli e disegni ornamentali”.
L’invenzione di cui in esame può riguardare un prodotto o un procedimento.
Il brevetto, inoltre, deve contenere i requisiti di: a) novità; b) attività inventiva o originalità/creatività; c) industrialità; potremmo, rispettivamente e sinteticamente, tradurli come qualcosa che “non sia già noto o accessibile al pubblico”, che “dallo stato della tecnica si riferisca ad una persona esperta del settore” e che “sia atta ad avere un’applicazione industriale”.
S’intende per Know-how, infatti, quel complesso di informazioni, documentazioni, materiali strumenti e/o programma di ricerca e di sviluppo forniti da una parte “divulgante”, di cui ha la piena ed esclusiva titolarità, a parte “ricevente” e/o quant’altro sia relativo al prodotto finale.
Tali informazioni, conoscenze e abilità operative sono, pertanto, necessarie per svolgere determinate attività, di cui si avvalgono anche sovente i datori di lavoro che operano nei settori industriali e commerciali.
Le tipologie di informazioni sono tra le più varie: a) tecniche, come le modalità di attuazione di un prodotto (Corte d’Appello di Bologna 19.05.1995) e/o formule chimiche e disegni di impianti (Corte d’Appello di Milano 29.11.2002; Tribunale di Roma 31.03.2004) ; b) commerciali, ovvero informazioni utili alle indagini di mercato, le condizioni contrattuali, preventivi consegnati in fase di trattativa (conf. Tribunale di Modena sez. dist. Carpi 20.04.2005); c) amministrative, in ordine alla certificazione di qualità e/o alle procedure attinenti all’amministrazione interna dell’azienda (V. Tribunale di Mantova ordinanza 12.07.2002).
L’elemento caratteristico, dunque, del know-how è che rileva solo quell’insieme di informazioni che, in quanto dotato di determinate caratteristiche intrinseche, sia idoneo a conferire al detentore uno specifico vantaggio competitivo rispetto a chi non ne dispone.
Le norme di riferimento sono gli artt. 98 e 99 del Codice della proprietà industriale, emanato con il D.lgs. N. 30/2005.
L’art. 98 del CPI non menziona espressamente il know-how; tuttavia quest’ultimo, secondo la giurisprudenza italiana, può essere ricondotto nell’ambito delle informazioni aziendali segrete.
L’ordinamento riconosce, tuttavia, una tutela giuridica nel caso di violazione del principio di segretezza di queste informazioni.
Il principio di segretezza, nell’ambito del know-how aziendale, prevede una serie di requisiti:
- il divieto di rendere nota o facilmente accessibile una determinata informazione agli esperti o agli operatori del settore;
- tali conoscenze devono avere un valore economico;
- le conoscenze di cui sopra devono essere sottoposte a misure adeguate a mantenerle segrete, il cui onere grava sul datore di lavoro.
Affinché la tutela giuridica del Know-how sia esperibile, si richiedono, inoltre, la divulgazione di conoscenze utili nel settore al quale si riferisce e che tali conoscenze siano descritte su un supporto materiale, pena altrimenti una sanzione a titolo di comportamento sleale da parte di chi se ne appropria.
Tale fenomeno giuridico ha subito un intervento normativo con l’adozione del D. Lgs. N. 63/2018. Le fattispecie di illeciti, tuttavia, sono rimaste inalterate, e sono:
a) l’acquisizione; b) l’utilizzo; c) la divulgazione abusiva dei segreti non autorizzata dal titolare, subordinate però al fatto che siano avvenute in modo abusivo e/o quelle ottenute per mezzo del reverse engineering, ossia il caso in cui soluzioni tecniche vengono replicate attraverso una procedura di “ricostruzione a ritroso”. Tali ipotesi sono fonti di responsabilità che possono dar luogo ad un licenziamento per giusta causa, a cui potrà seguire l’obbligo al risarcimento del danno, in quanto la figura del know-how s’inserisce fra i diritti di proprietà industriale e quindi gli viene riconosciuta natura di bene giuridico.
Circa l’irrogazione della sanzione, si applicano gli artt. 622 e 623 del c.p., i quali puniscono rispettivamente la rivelazione di segreto professionale e di segreti industriali o scientifici: una tutela, dunque, che si basa ed ha ad oggetto segreti che non hanno portata generale ma natura specifica, data da determinate conoscenze proprio in quel settore d’attività.
E’ bene ricordare che, per tutelare la divulgazione scientifica, le parti generalmente stipulano un “accordo di riservatezza” ove parte ricevente deve mantenere, in ogni parte del mondo, il segreto sulle Informazioni Riservate che non devono essere comunicate a terzi o diffuse e non devono essere utilizzate per fini diversi dalla valutazione della possibilità di collaborare con parte rivelante. Circa la durata non vi è una espressa previsione da parte del legislatore: si potrà, pertanto, ritenere che gli obblighi di segretezza a carico di parte ricevente rimarranno in vigore relativamente ad ogni Informazione Riservata fino a che parte rivelante non farà venire meno la segretezza della stessa Informazione Riservata.
L’accordo di riservatezza è disciplinato anche dall’articolo 2125 del codice civile, che s’inserisce nell’ambito della cessazione del rapporto di lavoro con un dipendente il quale, trovando un nuovo impiego, possa portare con sé anche dati sensibili che fanno parte del patrimonio aziendale precedente. Tale patto vincola anche il lavoratore all’obbligo di fedeltà, purché si tratti di una clausola scritta. L’art. 2125 c.c è applicabile per analogia al rapporto di lavoro parasubordinato (Trib. Torino Sez. Lavoro, 20 gennaio 2011). In questo caso, però, la durata dell’accordo è limitata: esso non può essere, in ogni caso, superiore ai cinque anni per i dirigenti e ai tre anni negli altri casi.
Dott.ssa Paola Blaiotta