#WeeklyUpdates | Ammissibilità delle azioni possessorie nei confronti degli enti pubblici
Con ordinanza emessa in data 20.11.2019, il Tribunale di Paola (CS) ha dichiarato ammissibile l’azione possessoria del privato nei confronti di un Ente pubblico.
Prima di addentrarci nel merito della questione appare necessario, a chi scrive, fare una breve disanima sulle azioni possessorie disciplinate dagli artt. 1168 e 1170 c.c.
Le azioni a tutela del possesso si contraddistinguono da quelle petitorie, in quanto quest’ultime presuppongono la titolarità del bene mentre rileva in questi casi la mera disponibilità dello stesso.
L’ordinamento interno prevede tre differenti azioni possessorie: a) l’azione di reintegrazione ex art. 1168 c.c.; b) l’azione di manutenzione in presenza di molestie e turbative ex art. 1170, 1° co c.c. ed infine l’azione di manutenzione con finalità recuperatorie ex art. 1170, 2° co. c.c.
Ai sensi dell’art. 1168, c. 1°, c.c. “chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l’anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l’autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo”.
Tale norma precisa che deve essersi trattato di uno spoglio violento o clandestino. Per spoglio violento, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, non deve necessariamente trattarsi di violenza fisica ma è sufficiente una mera violenza morale, vale a dire una minaccia (Cass. 29 giugno 1985, n. 3896). La reintegrazione, inoltre, consente di reagire anche nei casi di spoglio clandestino.
Si discute a questo proposito in che senso debba essere inteso il concetto di clandestinità. Secondo la giurisprudenza maggioritaria, il concetto di clandestinità è stabilito esclusivamente in rapporto al soggetto passivo dello spoglio: a tal proposito, è clandestino lo spoglio commesso all’insaputa del possessore o del detentore, il quale ne viene a conoscenza in un momento successivo (Cass. 28 gennaio 1995, n. 1036).
Ai sensi dell’art. 1170, c. 1°, c.c. “chi è stato molestato nel possesso di un immobile, di un diritto reale sopra un immobile o di una universalità di mobili può, entro l’anno dalla turbativa, chiedere la manutenzione del possesso medesimo”. Il legislatore, ai fini dell’azione di manutenzione ex art. 1170 1° co c.c., richiede che si tratti di un possesso che duri da oltre un anno, continuo e non interrotto, e che non sia stato acquistato violentemente o clandestinamente
Tradizionalmente le molestie e/o turbative vengono distinte in molestie di fatto e di diritto.
La molestia di fatto è qualsiasi limitazione o turbativa della sfera del possesso altrui (Cass. 6 febbraio 1965, n. 185), o ancora qualsiasi atto che modifichi o tenda a modificare il possesso o lo stato del possesso (Cass. 21 ottobre 1971, n. 2968). Ancora più controverso è il discorso relativo alle molestie di diritto. Tradizionalmente per molestie di diritto si intendono gli atti giudiziali o stragiudiziali con i quali si contesta l’altrui possesso.
Ai sensi dell’art. 1170, c. 2°, c.c., invece, “l’azione di manutenzione è altresì esperibile con finalità recuperatorie in caso di spoglio non violento o clandestino”.
In tema di azioni possessorie, rileva l’ordinanza del Tribunale di Paola (CS) che ha dichiarato ammissibile l’azione di spoglio del cittadino nei confronti del Comune che con la piantumazione di alcuni siepi gli aveva impedito di continuare ad esercitare il passaggio pedonale a carraio attraverso un cancello, prospiciente la pubblica via, condannandolo a ripristinare la situazione quo ante ed al pagamento delle spese di lite.
La motivazione alla base dell’accoglimento della domanda attorea è rinvenibile sul fatto che il Comune “……….aveva agito con un comportamento meramente materiale e dunque jure privatorum e non jure imperii”.
Ciò vale, dunque, anche qualora trattasi di beni demaniali.
Non è l’unica pronuncia che si esprime a favore di un privato cittadino, ma questo dimostra un’inversione di quell’orientamento giurisprudenziale che ha per lungo tempo ripetutamente negato l’esperibilità di tali azioni nei confronti della P.A. sulla base del fatto che il provvedimento dell’autorità giudiziaria avrebbe inevitabilmente comportato una revoca dell’atto amministrativo, ovvero l’imposizione di un “facere” o di un “pati”alla stessa P.A., così violando il divieto posto ex art. 4 della legge N. 2248/1865.
Dott.ssa Paola Blaiotta