Il Tribunale di Cosenza interviene con una innovativa sentenza sulla questione della “presunzione di spaccio”
Con l’allegata sentenza N. 330/2023 del 03.03.2023, il Tribunale di Cosenza – Sezione Penale – nella persona del Giudice Dott. M. Bilotta, ha assolto l’imputato dall’accusa di detenzione di sostanza stupefacente ai fini di spaccio poiché “il fatto non è previsto dalla legge come reato”.
Detta sentenza è stata emessa a conclusione di un procedimento penale a carico di uno studente universitario fuori sede, precisamente di nazionalità egiziana.
Trattasi di un ragazzo proveniente da una famiglia molto umile che, grazie a borse di studio, frequenta (anche con un certo profitto) l’Università della Calabria ed alloggia in un residence universitario, grazie alla erogata borsa di studio.
Nel mese di febbraio del 2019, a seguito di una “perquisizione” – è opportuno usare il virgolettato in quanto il ragazzo è stato fermato al di fuori del proprio alloggio e, una volta all’interno, ha consegnato il tutto di sua spontanea volontà ai militari – è stato rinvenuto in un cassetto della stanza in uso al ragazzo un involucro contente circa 39 grammi di marijuana (pare anche di bassa qualità) unitamente a quattro bustine di plastica nuove con chiusura ermetica; pertanto, lo stesso veniva stato denunciato a piede libero per la violazione dell’art. 73 comma 1 DPR 309/90 “perché deteneva, al fine di cederla a terzi, sostanza stupefacente ed in particolare deteneva presso la propria abitazione sostanza stupefacente del tipo marijuana”.
Celebratosi il processo, l’istruttoria dibattimentale si è formata con l’escussione di uno dei militari – che ha confermato quanto verbalizzato, ovvero che la sostanza era stata consegnata spontaneamente dal ragazzo e che non era stato rinvenuto null’altro che potesse far presumere l’attività di spaccio – e con l’esame dell’imputato che ha inteso “metterci la faccia” chiarendo la propria posizione.
Entrando nel merito, il giovane studente ha specificato i motivi per i quali deteneva quel quantitativo, ovvero in primo luogo per una questione di risparmio economico, nel senso che capitatagli l’occasione di acquistare la sostanza ad un prezzo competitivo ha colto la palla al balzo approvvigionandosi il proprio quantitativo mensile ad un prezzo inferiore a quello solitamente sostenuto per l’approvvigionamento settimanale.
In secondo luogo, ha specificato che acquistava questa ingente quantità di droga anche al fine di non recarsi con cadenza settimanale dal proprio fornitore, dunque, limitando gli spostamenti e riducendo notevolmente il rischio di essere fermato dalle forze dell’ordine per strada.
Nonostante ciò, terminata l’istruttoria dibattimentale, il P.M. – a conclusione della requisitoria – presumendo che la detenzione fosse preordinata allo spaccio della sostanza, chiedeva la condanna dell’imputato a 4 anni di reclusione, sulla base di due motivazione:
– poiché, a seguito di pesatura ed analisi tossicologica sulla sostanza, era emerso che il peso ammontava a circa 39 grammi da cui, sulla base della percentuale di principio attivo in essa contenuto, potevano ricavarsi 97,8 dosi: infatti, solitamente per comprendere quando la detenzione di droga sia posseduta a fini di spaccio anziché a fini di consumo personale, occorre considerare il quantitativo e la modalità del possesso e, nel caso di specie, la droga rinvenuta non era in modica quantità (cioè entro il limite dei 5 grammi stabiliti ex lege);
– inoltre poiché il ragazzo, di origini straniere, non era benestante ed anzi fruiva di borsa di studio: dunque, si andava a presumere che la droga rinvenuta fosse utilizzata dal ragazzo come fonte di guadagno; infatti, sul piano logico, l’assenza di redditi propri alimenta la plausibilità di un’attività di spaccio per far fronte al fabbisogno della persona.
L’imputato, come già anticipato, si è sempre professato innocente, in quanto non essendo avvezzo ad attività di spaccio, si era semplicemente precostituito una piccola “scorta” per abbattere i costi al dettaglio, ed, a comprova della sua buona fede, in sede di perquisizione, nel momento in cui veniva invitato a dichiarare ciò che avesse in casa di non lecito, consegnava spontaneamente la sostanza senza alcun tipo di esitazione.
A sostegno di quanto sia labile il confine tra uso personale e spaccio, giova evidenziare che il “quantitativo” non è l’unico parametro da cui può desumersi con certezza se il soggetto in possesso di droga sia intenzionato a cederla a terzi o a consumarla personalmente; infatti, “………..il superamento del limite quantitativo fissato rappresenta solo uno dei parametri normativi rilevanti ai fini della sussistenza del reato, e l’esclusione della destinazione della droga ad un uso strettamente personale ben può essere ritenuta dal giudice anche in forza di ulteriori circostanze………” (Cfr. Cass. Pen. Sent. n. 7578/2019, ex multiis Cassazione penale sez. VI, 03/11/2022, n.45061).
Orbene, come già anticipato, possono essere plurime le ulteriori “circostanze dell’azione” correlate allo spaccio da tenere in considerazione a tal fine, come la modalità di presentazione della sostanza, la divisione della stessa in dosi preconfezionate o il ritrovamento di denaro contante nelle tasche di colui che deteneva la droga.
Inoltre, seppur a fronte di una modica quantità rinvenuta e suddivisa in dosi, è sempre necessaria la valutazione circa le modalità comportamentali del soggetto che le detiene, astrattamente idonee o meno a giustificare una destinazione ad uso esclusivamente personale.
In virtù di tanto, il deducente procuratore chiedeva l’assoluzione del ragazzo con formula ampia in quanto non vi erano assolutamente elementi a fondamento della presunzione dell’attività di spaccio, che a seguito della più recente giurisprudenza, è ormai venuto meno come concetto giuridico.
Detto concetto può avere fondamento qualora vi siano elementi concreti; in altre parole, affinchè la detenzione possa dirsi preordinata alla vendita della sostanza è necessario:
- il possesso di bilancino di precisione;
- il rinvenimento di materiale per il confezionamento, dunque, per la ripartizione della droga in dosi;
- il rinvenimento dei c.d “manoscritti” (anche in formato digitale) con nomi e cifre, presumibilmente identificanti i soggetti ai quali la droga viene venduta.
In mancanza di detti elementi probatori il presupposto dell’attività di spaccio – di cui onere probatorio grava sempre sull’accusa e non sulla difesa! – viene incontrovertibilmente meno.
Quanto affermato trova riscontro nelle recenti sentenze, anche della Corte di Cassazione, richiamate nell’arringa difensiva del deducente procuratore, alle quali, in futuro, si aggiungerà inevitabilmente la sentenza in oggetto.
Infatti, il Tribunale di Cosenza, creando un importantissimo precedente, nel decidere sulle sorti del ragazzo aderiva a quell’orientamento in virtù del quale, a differenza del passato, non esiste più il concetto di presunzione dell’attività di spaccio, in quanto la stessa deve essere provata dall’accusa; infatti, in caso contrario vi sarebbe un’inammissibile inversione dell’onere della prova.
Per contro, l’orientamento maggioritario previgente poneva a carico dell’imputato e della sua difesa la dimostrazione dell’uso personale della sostanza detenuta, qualora questa eccedesse i limiti tabellari (in senso contrario: Cassazione penale sez. III, 19/09/2019, n.43262) .
Nel caso di specie, non sussistendo tali elementi precitati ed essendo gli indizi a favore dell’ipotesi accusatoria non gravi, non precisi, né concordanti l’On.le Tribunale adito ritenendo la detenzione de qua compatibile con la finalità di uso personale della sostanza, ha assolto l’imputato dall’accusa di detenzione di sostanza stupefacente ai fini di spaccio.
Trattasi di assoluzione ai sensi dell’art 530 comma II c.p.p. in quanto “il fatto non è previsto dalla legge come reato”: infatti, a differenza della normativa previgente (D.P.R. 309/90), la quale puniva sia lo spaccio che la mera detenzione di stupefacenti per uso personale, oggi la legge ha definitivamente declassato l’uso personale di sostanze stupefacenti o psicotrope in mero illecito amministrativo (Cfr. L. 49/2006).
Concludendo, in precedenza si era arrivati ad altre sentenze assolutorie per fatti “analoghi”, ma sempre in ambito di processi penali nei quali era costantemente emersa una certa capacità economica dell’imputato necessaria per l’acquisto della sostanza.
La sentenza in oggetto è sicuramente una delle prime ove viene sancito il concetto di uso personale per un ragazzo extracomunitario senza alcun reddito.
L’augurio è che questo possa essere un precedente che riesca ad aprire la strada ad una visione antiproibizionista del Legislatore, in mancanza della quale ci troviamo come nazione, ancor prima che come sistema giuridico, anni luce indietro a molti.
Avv. Francesco Vetere