#Weekly Updates | MANCATA REGISTRAZIONE DEI CONTRATTI IN SCRITTURA PRIVATA, COSA COMPORTA?
Nel nostro ordinamento vige il principio della libertà della forma, che rappresenta il corollario per eccellenza dell’autonomia negoziale, ossia del potere di autodeterminazione del soggetto rispetto alla propria sfera giuridica. Questo si esplica tramite la libera scelta delle modalità tramite le quali regolare i propri interessi, in ossequio alle più importanti libertà fondamentali tutelate nel “nucleo forte” della Costituzione; tuttavia, ciò deve pur sempre avvenire nel pieno rispetto dei limiti previsti dal legislatore.
Relativamente ai contratti, è pacifico che la forma rappresenta un elemento costitutivo fondamentale c.d. “essenziale” ai sensi dell’art. 1325 c.c.. Ne consegue che quando è richiesta la forma scritta “a pena di nullità” si rende obbligatorio consacrare l’accordo delle parti all’interno di un documento scritto o a volte in un atto pubblico, pena l’invalidità del contratto stesso; in particolare, la forma è prevista “ad substantiam” quando gli interessi in gioco sono particolarmente delicati, dunque il contratto stesso richiede una maggiore attenzione, sia ai fini della sua opponibilità che della sua esistenza.
Una delle modalità tramite le quali è assolto l’obbligo della forma scritta è la scrittura privata, la quale, in primis, può essere semplice o autenticata; nel primo caso le firme vengono apposte dalle parti senza bisogno di alcuna verifica della loro identità, nel secondo caso, invece, la sottoscrizione viene apposta alla presenza di un notaio o altro pubblico ufficiale autorizzato a dar fede all’atto stesso fino ad una eventuale querela di falso.
In secondo luogo, la scrittura privata può essere registrata: la registrazione è un adempimento che si richiede all’Agenzia delle Entrate in cambio del pagamento di un tributo chiamato “imposta di registro” ed a seguito del quale viene conferita data certa al documento, con conseguente impossibilità di contestarla in un successivo momento.
Qualche problema, quindi, si potrebbe porre in caso di mancata registrazione, ma andiamo per ordine.
La registrazione di un contratto non è un obbligo inderogabile per le parti, piuttosto si può qualificare come loro onere, in quanto torna a vantaggio delle stesse; più specificatamente, una scrittura privata non registrata è vincolante per le parti al pari di qualsiasi altro atto, però, a differenza di quando si assolve il suddetto onere, potrà essere disconosciuta successivamente da colui contro cui è prodotta e sarà onere di chi la fornisce provare la genuinità del documento.
In altre parole, tramite la registrazione, l’atto viene reso “pubblico” e gli si attribuisce valore anche nei confronti della collettività, così facendo si evita la possibilità di ricorrere al facile escamotage della “retrodatazione” di un atto compilato solo all’occorrenza, al fine di frodare i terzi.
Pur tuttavia, se non c’è il rischio che una delle due parti possa, un giorno, contestare la propria firma- si pensi ad esempio ad un prestito tra amici o familiari– stipulare una scrittura privata non registrata NON offre minori garanzie di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata o registrata. Infatti, fermo restando che la registrazione può servire per fornire data certa ad eventuali terzi, la Suprema Corte di Cassazione – con ordinanza n.29551 depositata il 16 novembre 2018 – ha precisato che, “se la legge richiede la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata ai fini della prova e la stessa non è rispettata perché il contribuente si è limitato ad un accordo scritto non registrato, l’Ufficio comunque non può considerare inesistente l’atto”, dunque, il difetto di registrazione non inficerebbe la prova dell’atto, in quanto le parti sono comunque obbligate a rispettare il contenuto del contratto.
Pertanto, si rende necessario distinguere tra aspetti civili e fiscali: infatti, se un atto è soggetto ad imposta di registro – in termine fisso o in caso d’uso – la mancata registrazione dello stesso comporterebbe semplicemente ed eventualmente sanzioni tributarie, ma il contratto rimarrebbe valido ed efficace.
In ultimis,oggi si può dare data certa anche ad una scrittura privata non registrata in vari modi, ossia:
- tramite l’autenticazione da parte del notaio, il quale redigerà sul documento la dichiarazione di autenticità delle firme, apponendo timbro, firma e anche data;
- tramite l’invio della scrittura privata reciprocamente per mezzo di PEC, la quale garantisce la data;
- redigendo il documento in formato digitale e munendolo di sottoscrizione digitale;
- avvalendosi della marca temporale, ossia di quel particolare servizio a pagamento che, tramite una procedura informatica, consente di apporre ora e data certe e legalmente valide ad un documento informatico, fornendogli una validazione temporale opponibile ai terzi;
- spedendo una copia della scrittura privata tramite raccomandata a.r., infatti, il timbro postale, in quanto apposto dal dipendente dell’ufficio di Poste Italiane, equiparato a pubblico ufficiale, fa piena prova.
In questo ultimo caso, però, come affermato dalla Suprema Corte, la certezza della data è possibile solo nel caso in cui la scrittura formi un corpo unico con il foglio sul quale è impresso il timbro postale; in altre parole, il documento va ripiegato su se stesso e non imbustato, in modo tale che il timbro del postino sia posto sul foglio stesso
Tutto ciò alla luce del fatto che oggi si può ravvisare una certa flessibilità relativamente al tema in discussione: si pensi che ormai è pacifica la validità del contratto per corrispondenza, ossia quello concluso mediante il solo scambio di proposta e accettazione tra le parti, il cui fondamento civilistico è rappresentato dagli articoli 1326 e 1335 c.c.
A tal fine, il Dpr n. 131/1986 stabilisce altresì che, alcuni atti, per i quali, in generale, è prevista la registrazione “in termine fisso”- riportando l’esempio di prima, un prestito di denaro tra privati – qualora siano formati mediante corrispondenza, sono da registrare soltanto in caso d’uso, ovvero soltanto se si verificano le condizioni indicate nell’articolo 6 del citato Dpr n. 131/1986 (deposito dell’atto presso le cancellerie giudiziarie nell’esercizio di attività amministrativa o presso le amministrazioni dello Stato o degli enti pubblici territoriali, e i rispettivi organi di controllo); infatti, tramite questa particolare previsione il legislatore ha inteso favorire i traffici commerciali, escludendo l’obbligo della registrazione per le operazioni concluse con le modalità appena descritte.
Dott.ssa Giovanna Vetere