Le novità introdotte dalla Riforma Cartabia nel rito del lavoro
A quasi cinquant’anni dall’introduzione, nel codice di rito, delle norme inerenti le controversie in materia di lavoro, con l’entrata in vigore della Riforma Cartabia anch’esse saranno soggette ad importanti modifiche ed innovazioni.
E’ ormai risaputo che, con il d.lgs. n.149/2022, si vogliono realizzare “gli obiettivi di semplificazione, speditezza, e razionalizzazione del processo civile, nel rispetto della garanzia del contraddittorio”; ciò non può, quindi, che riguardare anche il processo del lavoro.
Vediamo, adesso, le principali novità in materia.
– LA NEGOZIAZIONE ASSISTITA
La negoziazione assistita è stata introdotta nel nostro ordinamento giuridico con l’art. 2 comma 2, lett. b) del decreto-legge n. 132 del 2014, essa consiste nella possibilità, per le parti, di trovare un accordo amichevole, secondo buona fede e lealtà, risolvendo la controversia grazie all’assistenza di avvocati iscritti all’albo. Le controversie in materia di lavoro erano, in origine, escluse dalla possibilità di essere risolte tramite il meccanismo della negoziazione ma, con la Riforma Cartabia e con l’aggiunta dell’art. 2-ter al decreto-legge 132/2014, questa possibilità è stata estesa anche al rito del lavoro.
Fattore importante è che la negoziazione assistita non costituisce, in questo caso, condizione di procedibilità della domanda giudiziale; inoltre, le parti devono essere assistite da almeno un avvocato o da un consulente del lavoro. Una volta raggiunto un accordo, come risultato della negoziazione, esso sarà soggetto all’applicazione dell’articolo 2113, IV comma, c.c.; l’accordo, inoltre, deve essere trasmesso a cura di una delle due parti, entro dieci giorni, ad uno degli organismi di cui all’articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, ossia ad uno degli organi abilitati per la certificazione dei contratti di lavoro.
Con tale novità il legislatore palesa la sua intenzione di alleggerire i Tribunali dalle varie controversie in materia di lavoro: infatti, con la negoziazione assistita viene concessa alle parti un’adeguata tutela dando loro la possibilità di raggiungere pacificamente un accordo senza dover necessariamente avviare un processo, il tutto con l’assistenza di figure adeguatamente professionali.
– ARTT. 441-BIS, TER E QUATER DEL CODICE DI PROCEDURA CIVILE
Importante novità riguarda la definitiva eliminazione del c.d. rito Fornero il quale viene sostituito con una nuova disciplina, introdotta ai nuovi artt. 441-bis e ss. c.p.c., destinata a riferirsi a tutte le ipotesi in cui, con l’impugnazione del licenziamento, venga richiesta la reintegrazione nel posto di lavoro.
Ai sensi dell’art. 411-bis c.p.c.: «la trattazione e la decisione delle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei licenziamenti nelle quali è proposta domanda di reintegrazione nel posto di lavoro hanno carattere prioritario rispetto alle altre pendenti sul ruolo del giudice, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto. Salvo quanto stabilito nel presente articolo, le controversie di cui al primo comma sono assoggettate alle norme del capo primo. Tenuto conto delle circostanze esposte nel ricorso il giudice può ridurre i termini del procedimento fino alla metà, fermo restando che tra la data di notificazione al convenuto o al terzo chiamato e quella della udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di venti giorni e che, in tal caso, il termine per la costituzione del convenuto o del terzo chiamato è ridotto della metà. All’udienza di discussione il giudice dispone, in relazione alle esigenze di celerità anche prospettate dalle parti, la trattazione congiunta di eventuali domande connesse e riconvenzionali ovvero la loro separazione, assicurando in ogni caso la concentrazione della fase istruttoria e di quella decisoria in relazione alle domande di reintegrazione nel posto di lavoro. A tal fine il giudice riserva particolari giorni, anche ravvicinati, nel calendario delle udienze. I giudizi di appello e di cassazione sono decisi tenendo conto delle medesime esigenze di celerità e di concentrazione».
Si precisa che tutte le controversie in materia di licenziamento saranno soggette alla disciplina generale ai sensi dell’art. 409 e ss. c.p.c.; le cause relative alla reintegrazione del lavoratore dovranno essere soggette, in particolare, ad una prioritaria trattazione e la celerità del procedimento viene “garantita” dalla possibilità, per l’organo giudicante, di ridurre fino alla metà i termini del procedimento, tenendo sempre in considerazione le circostanze del caso concreto.
Naturalmente deve essere garantita la tutela del convenuto, ma anche del terzo; di fatti, tra la data della notificazione del ricorso e quella dell’udienza di discussione non possono intercorrere meno di venti giorni, e in tal caso il termine di costituzione per il convenuto ed il terzo è dimezzato.
Sempre per favorire la celerità del processo viene data la possibilità, al giudice, di trattare congiuntamente eventuali domande connesse e riconvenzionali, ovvero la separazione di quest’ultime, se ciò può rendere più veloce e concentrata la fase istruttoria.
La celerità e la concentrazione del processo diventano, quindi, dei principi importantissimi non solo per il giudizio di primo grado, ma anche nelle fasi dell’Appello e del giudizio di Cassazione.
Con l’art. 441-ter c.p.c, rubricato, invece, «Licenziamenti del socio della cooperativa», vengono prese in considerazione dal legislatore tutte quelle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei licenziamenti dei soci delle cooperative: anche queste ultime sono soggette alla disciplina generale di cui agli art. 409 e ss. c.p.c.. Quando viene introdotta una controversia rientrante in questa categoria «il giudice decide anche sulle questioni relative al rapporto associativo eventualmente proposte. Il giudice del lavoro decide sul rapporto di lavoro e sul rapporto associativo, altresì, nei casi in cui la cessazione del rapporto di lavoro deriva dalla cessazione del rapporto associativo».
La ratio di tale novità ha le sue basi nella dualità della figura del socio-lavoratore delle cooperative in quanto esso è soggetto a più rapporti contrattuali, ossia quello lavorativo e quello associativo. Seguendo l’orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione, il legislatore ha preferito concentrare entrambi gli aspetti della controversia, quello associativo e quello lavorativo, di fronte ad un unico giudice, evitando la ripartizione delle funzioni fra giudice del lavoro e le sezioni specializzate in materia di imprese del tribunale. Anche quanto appena detto è il frutto della volontà di dare al processo una maggiore celerità.
Per ultimo, l’art. 441-quater c.p.c., rubricato «Licenziamento discriminatorio», dice che «le azioni di nullità dei licenziamenti discriminatori, ove non siano proposte con ricorso ai sensi dell’articolo 414, possono essere introdotte, ricorrendone i presupposti, con i riti speciali. La proposizione della domanda relativa alla nullità del licenziamento discriminatorio e alle sue conseguenze, nell’una o nell’altra forma, preclude la possibilità di agire successivamente in giudizio con rito diverso per quella stessa domanda».
I riti speciali utilizzabili, in questo caso, sono quelli previsti dall’art. 38 del d.lgs. n.198/2006 e dall’art. 28 del d.lgs. n. 150/2011. In ogni caso, la scelta del ricorrente riguardo all’utilizzo di un determinato rito, piuttosto che un altro, comporta, come conseguenza, l’impossibilità di agire successivamente in giudizio con un rito diverso riguardo alla stessa domanda.
– ARTT. 127 BIS E TER DEL CODICE DI PROEDURA CIVILE
Con gli artt. 127-bis e 127-ter del c.p.c. il legislatore ha introdotto la possibilità di svolgere le udienze in modalità telematica a distanza, usufruendo di un collegamento audiovisivo, oppure, sostituire l’intera udienza con il deposito e scambio di note scritte.
Queste due disposizioni non sono esclusivamente dedicate al rito del lavoro, ma sono utilizzabili nella generalità del processo civile. Quella che in passato era un’esigenza dovuta alla situazione emergenziale e pandemica ad oggi è divenuta una previsione normativa riguardante la genericità dei processi.
L’art. 127-bis c.p.c. dice espressamente che «lo svolgimento dell’udienza, anche pubblica, mediante collegamenti audiovisivi a distanza può essere disposto dal giudice quando non è richiesta la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice. Il provvedimento di cui al primo comma è comunicato alle parti almeno quindici giorni prima dell’udienza. Ciascuna parte costituita, entro cinque giorni dalla comunicazione, può chiedere che l’udienza si svolga in presenza. Il giudice, tenuto conto dell’utilità e dell’importanza della presenza delle parti in relazione agli adempimenti da svolgersi in udienza, provvede nei cinque giorni successivi con decreto non impugnabile, con il quale può anche disporre che l’udienza si svolga alla presenza delle parti che ne hanno fatto richiesta e con collegamento audiovisivo per le altre parti. In tal caso resta ferma la possibilità per queste ultime di partecipare in presenza. Se ricorrono particolari ragioni di urgenza, delle quali il giudice dà atto nel provvedimento, i termini di cui al secondo comma possono essere abbreviati».
L’unica udienza che non può essere svolta in modalità telematica è quella che prevede l’escussione dei testimoni, tutto il resto può essere svolta a distanza. Ciò non toglie che una o entrambe le parti possano richiedere lo svolgimento dell’udienza in presenza; nel caso in cui una parte preferisca lo svolgimento in presenza, mentre l’altra a distanza, è addirittura possibile porre in essere un’udienza in modalità mista.
Ordunque, anche se talvolta la presenza delle parti può non essere necessaria per lo svolgimento dell’udienza, la loro mancanza potrebbe inficiare sul principio di oralità del processo e potrebbe essere fortemente limitato anche il principio del contraddittorio, i quali sono sempre stati i pilastri portanti del processo civile.
L’art. 127-ter c.p.c. invece, prevede che «l’udienza, anche se precedentemente fissata, può essere sostituita dal deposito di note scritte, contenenti le sole istanze e conclusioni, se non richiede la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice. Negli stessi casi, l’udienza è sostituita dal deposito di note scritte se ne fanno richiesta tutte le parti costituite. Con il provvedimento con cui sostituisce l’udienza il giudice assegna un termine perentorio non inferiore a quindici giorni per il deposito delle note. Ciascuna parte costituita può opporsi entro cinque giorni dalla comunicazione; il giudice provvede nei cinque giorni successivi con decreto non impugnabile e, in caso di istanza proposta congiuntamente da tutte le parti, dispone in conformità. Se ricorrono particolari ragioni di urgenza, delle quali il giudice dà atto nel provvedimento, i termini di cui al primo e secondo periodo possono essere abbreviati. Il giudice provvede entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle note. Se nessuna delle parti deposita le note nel termine assegnato il giudice assegna un nuovo termine perentorio per il deposito delle note scritte o fissa udienza. Se nessuna delle parti deposita le note nel nuovo termine o compare all’udienza, il giudice ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiara l’estinzione del processo. Il giorno di scadenza del termine assegnato per il deposito delle note di cui al presente articolo è considerato data di udienza a tutti gli effetti».
Risulta evidente come, in questo caso, la presenza delle parti viene completamente omessa e sostituita da un approccio totalmente scritto, tale disciplina è applicabile per tutti i casi previsti dall’art. 127-bis c.p.c.
Seguendo questa metodologia il processo potrebbe essere sicuramente più celere e veloce ma vengono preclusi altri aspetti, quali ad esempio l’interrogatorio libero delle parti e il tentativo di conciliazione. L’iniziativa sulla trattazione scritta, in via ufficiosa, spetta al giudice ma, su richiesta congiunta delle parti, lo stesso giudicante è obbligato ad assecondare tale richiesta.
Se viene posta in essere la trattazione scritta non solo viene meno il principio dell’oralità del processo, come già detto in precedenza, ma si rende particolarmente difficile anche l’accertamento del fatto che, nel rito del lavoro, ricopre un ruolo di grande importanza: per questo gli esperti sollevano sul punto diversi pareri di inopportunità della novella legislativa applicata al rito del lavoro ritenendola contrastante con i principi reggenti lo stesso.
– IL GIUDIZIO D’APPELLO
Riguardo al giudizio d’appello, il legislatore è intervenuto con poche disposizioni, lasciando, per la maggiore, inalterato il procedimento di secondo grado.
Per quanto riguarda l’atto introduttivo è stato precisato che, ai sensi dell’art. 434 c.p.c., per ogni motivo di impugnazione, deve essere indicato, a pena di inammissibilità:
- il capo della decisione di primo grado che viene impugnato;
- le censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado;
- le violazioni di legge denunciate e la loro rilevanza al fine della decisone impugnata.
Il tutto mantenendo sempre i requisiti di chiarezza e sinteticità. Con l’art. 436-bis c.p.c., inoltre, il legislatore ha introdotto la possibilità, per il giudice, di emanare la cd. sentenza immediata, al termine dell’udienza di discussione.
Essa può essere emanata nei casi di inammissibilità, improcedibilità, manifesta fondatezza o infondatezza dell’appello, solo dopo aver sentito i difensori delle parti.
Al termine dell’udienza di discussione vengono letti il dispositivo e la motivazione, redatta sinteticamente, anche con semplice riferimento ai punti di fatto e/o di diritto ritenuti risolutivi della questione. Nel caso venga emanata questa tipologia di sentenza, essa deve essere depositata entro sessanta giorni dalla pronuncia; il cancelliere, inoltre, provvede a darne immediata comunicazione alle parti.
Tutto ciò a differenza di quanto previsto in precedenza, previo rinvio all’art. 430 c.p.c.: di fatti quest’ultimo imponeva il deposito della motivazione entro quindici giorni dalla pronuncia.
– IL RINVIO PREGIUDIZIALE ALLA CORTE DI CASSAZIONE
L’introduzione dell’art. 363-bis c.p.c. riguarda la genericità del processo civile, e quindi interessa anche il rito de lavoro. Nella disciplina in esame viene previsto che il giudice di merito possa disporre, con ordinanza motivata, la sospensione del giudizio ed il rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione, naturalmente solo dopo aver sentito le parti. Il rinvio pregiudiziale è dovuto alle ipotesi in cui:
- la questione è necessaria alla definizione anche parziale del giudizio e non è stata ancora risolta dalla Corte di Cassazione;
- la questione presenta gravi difficoltà interpretative;
- la questione è suscettibile di porsi i numerosi giudizi.
Questa possibilità permette di risolvere le questioni di puro diritto arrivando direttamente di fronte alla Corte di Cassazione e risparmiando anche del tempo, sempre in conformità con il principio di celerità posto alla base della Riforma Cartabia.
– IL REGIME INTERTEMPORALE
Nel d.lgs. 149/2022, ai sensi dell’art. 35, I comma, viene precisato che : << Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 30 giugno 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 30 giugno 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti>>.
Infine, nei commi a seguire, vengono indicate le date dell’entrata in vigore delle varie modifiche ed innovazioni apportate, ad esempio:
· le disposizioni di cui agli artt. 127-bis e 127-ter c.p.c. sono entrate in vigore in data il 1° gennaio 2023;
· le disposizioni inerenti il ricorso per Cassazione ed il rinvio pregiudiziale per Cassazione, sono entrate in vigore anch’esse in data 1 gennaio 2023;
· le nuove disposizioni riguardanti il giudizio d’appello entreranno in vigore il 28 febbraio 2023;
Tutto ciò non ha fatto altro che creare grande confusione, sia per gli organi giudicanti che per i difensori.
In conclusione si può sicuramente affermare che, anche se poche, le modifiche apportate al rito del lavoro sono importanti ed incisive.
Esse mirano a favorire una trattazione scritta piuttosto che lo svolgimento dell’udienza i presenza, il tutto per velocizzare la macchina processuale: ma a quale prezzo?
Il prezzo da pagare risiede nella rinuncia ai principi che da sempre hanno caratterizzato il processo, ossia l’oralità ed il contraddittorio i quali, anche se non completamente superati, ad oggi risultano fortemente limitati, privando il processo della sua vera natura, basata sul contraddittorio fra persone poste l’una di fronte all’altra, e non tramite meri documenti o dietro ad una videocamera.
Dott.ssa Rosamaria Giacobbe